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Tim
Easton
Porcupine
[New
West 2009]
"Ho pensato che l'animale chiamato porcospino fosse un simbolo perfetto
per il suono di questo disco, per il fatto che da lontano appare come
una creatura gentile e innocua, ma una volta che ci si avvicina è
in realtà appuntito e potenzialmente pericoloso". E' una descrizione
certamente curiosa per introdurre la propria musica, ma quanto mai azzeccata
se ci si addetra fra le sonorità di Porcupine, quinto
lavoro solista di Tim Easton, ex Haynes Boys che da qualche anno,
nella generale indifferenza, sta infilando una serie positiva di lavori
per la New West. Il suo folk rock pungente - è proprio il caso
di dirlo - possiede acume e brillantezza, unisce il piglio arruffato di
un autentico troubadour, la sincerità di un rocker di provincia
e l'intelligenza di un autore che ha sempre tenuto aperte le braccia verso
il mondo e l'evoluzione della pop music. Non si spiegherebbe altrimenti
il lavoro in regia con Brad Jones e Robin Eaton negli studi Club
Roar di Nashville, luoghi da cui non è necessariamente passata
soltanto la solita combriccola Americana.
E non sarà certamente Porcupine a costringere Tim Easton fra le
maglie di questo genere: lui resta semplicemente un songwriter tanto discreto
quanto preparato, che fa viaggiare sullo stesso treno Bob Dylan ed Elvis
Costello, chiede in prestito una melodia a Tom Petty, con la chitarre
che scalciano fra le mura di un rock'n'roll frizzante (Broke
my Heart e Baltimore arrivano
dritte al bersaglio) e le gentilezze di un folk da strada. I suoi dischi
prendono forma in luoghi lontani, con l'idea di uno spazio e di un tempo
da accumulare esperienza dopo esperienza: Porcupine raccoglie frammenti
fra Los Angeles (la California è la sua residenza ufficiale, nei
pochi ritagli al di fuori dei tour incessanti), Dublino, Amsterdam, Seattle,
Baltimora e la sua casa d'origine in Ohio, parlando di ragazze senza mai
esser banale, di impressioni rubate ad un viaggio, capace persino di carpire
qualche segreto a Raymond Carver. Il grande scrittore e poeta americano
viene omaggiato quale principale ispiratore della sceneggiata southern
rock The Young Girls, sapori soul
con Susan Marshall ai cori, una discesa a Sud che si ripeterà nello
swamp appiccicoso di Northbound.
Si tratta del suono più spavaldo esibito dagli esordi di Special
20, riconducendo alla base le sue ballate (in fondo mai così distanti,
neppure nei momenti più "modernisti" espressi in The
Truth About Us): sono le chitarre ficcanti di Kenny Vaughn
(Lucinda Williams band, Marty Stuart) ad alzare la posta in gioco, tra
il grattare bluesy della title track, le sferzate garage di Stormy
e le stilettate elettriche di una Get What I
Gor che fa muovere anche le pietre. Ma in fondo lo si poteva
capire fin dall'inizio che l'aria si sarebbe surriscaldata: 1,2,3,4, scandisce
chiaramente il battito Tim Easton in Burgundy
Red e lascia a briglie sciolte la sua lingua "dylaniana",
prima di immergersi nel calore della band e nelle scudisciate della sei
corde.
Tutto ciò, beninteso, senza smentire l'affermazione fatta in apertura
dallo stesso protagonista. Porcupine mostra infatti abbastanza charme
e romanticismo per deliziare chi aveva imparato a conoscere Tim Easton
come uno dei rappresentati migliori della nuova onda cantautorale sbarcata
a Nashville qualche stagione fa (con lui Robbie Fulks, Tommy Womack e
Todd Snider ad esempio): Stones Throw Away
e Long Cold Night in Bed sussurrano
tenerezze acustiche, 7th Wheel
è un esempio perfetto di equilibri folk rock, così
come Goodbye Amsterdam una piccola
gemma pop dove piano (Brad Jones) e violino (Megan Palmer) prendono per
mano la melodia e insegnano come si scrive una canzone partendo da poche
ma chiarissime idee.
(Fabio Cerbone)
www.timeaston.com
www.myspace.com/timeaston
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