The
Duke & The King
Nothing Gold Can Stay
[Loose
music 2009]
Il Duca e il Re nella letteratura americana sono i due imbroglioni che
con l'inganno vendettero lo schiavo nero Jim agli zii di Tom Sawyer nel
libro Le Avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain. Una versione yankee
dei nostri Gatto e Volpe collodiani (i due libri sono curiosamente usciti
praticamente in contemporanea tra il 1883 e il 1884), ma in genere originati
da una tradizione popolare che vuole il truffatore per antonomasia essere
un perfetto mix di furbizia e cattiveria, ma anche di fascino e nobiltà.
The Duke & The King sono dunque due farabutti della musica d'oltreoceano:
il Duca (Simone Felice) è uno dei fratelli terribili che stanno
scrivendo le migliori pagine di roots-music degli ultimi mesi (Yonder
Is The Clock sembra davvero aver messo d'accordo tutti o quasi), il Re
(Robert "Chicken" Burke) è un batterista/DJ spesso utilizzato da
George Clinton (ad esempio nel progetto dei Drugs), esperto di battiti
elettronici e ammenicoli da funky/hip hop.
Ci si potrebbe dunque aspettare uno dei tanti ibridi tra folk e black
music, invece qui sta il primo vero imbroglio: Nothing Gold Can
Stay è un bel disco di cantautorato americano, con quel piglio
da "indie-folker" che spesso veniva vagheggiato anche nei dischi dei Felice
Brothers, e che qui trova tutta la propria piena libertà d'espressione.
Ed è il disco stesso che inganna non poco: all'inizio sembra un unico
piatto sospiro disturbato da qualche rumore elettronico, a volte tendente
addirittura ad un barocco pastone psichedelico di voci e tastiere (Lose
My Self) che lascia perplessi. Poi però alla lunga le canzoni
vengono fuori in tutta la loro potenza, la produzione volutamente lo-fi
e home-made non riesce a tenere a freno la bellezza melodica di una
The Morning I Get To Hell, l'incisività pop di Still
remember Love, il tocco lieve di Suzanne,
dove chitarre roots e trombe jazz si intersecano alla perfezione. Sono
brani come Summer Morning Rain, gentile
folk song senza innovazioni da proporre, che all'inizio ti passano nelle
orecchie come il festival del già sentito, ma non ti mollano più e ti
chiamano di nuovo di giorno in giorno.
E' questo dunque il grande imbroglio del Duca e del Re, l'aver confezionato
un cd che sulla carta sembrava solo un avventuroso spin-off della saga
dei Felice Brothers in ambiti extra-roots, quando invece è "solo" una
bella prova d'autore di Felice, con una produzione intelligente e aperta
che ne fa un disco rivolto più al mercato del rock alternativo e indipendente
che a quello dell'americana-music. Il grunge ci ha insegnato come spesso
i dischi nati da collaborazioni parallele ai grandi nomi (ad esempio Temple
Of The Dog, Brad, Mad Season) siano la vera cartina al tornasole dello
stato di salute di un gruppo, se non di tutta una scena. Nothing Gold
Can Stay ci conferma quindi che se qualcosa di importante sta succedendo
in questi mesi, sta sicuramente passando dalle parti dei Felice Brothers.
Contando anche che Simone, dei Felice Brothers, è "solo" il batterista.
(Nicola Gervasini)