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David
Massey
So Many Roads
[Poetic
Debris Records 2009]

Nella vita fa tutt'altro, David Massey, e forse questo è uno dei
segreti - se non il più importante - che gli permettono di dedicarsi alla
sua passione - la musica, ovviamente - senza la minima ridondanza commerciale,
o quantomeno il suo profilarsi nell'orizzonte delle intenzioni. Se ci
pensiamo bene, molte proposte oneste e sincere, in alcuni casi addirittura
artisticamente ottime, provengono da quel calderone di normalità, di "everyday
life" trasfigurata in arte da parte di chi la musica la porta nel
cuore sin dalla nascita. Negli States accade spesso, tra i nostri confini
onestamente no, a parte qualche rarissima eccezione. In quel di Washington
Massey fa l'avvocato. La sera si diverte a suonare, dapprima in varie
band locali, fino a quando si convince del proprio talento e inizia a
scrivere. Il suo primo disco, Blissful State Of Blue di qualche annetto
fa, ottiene una calda accoglienza da parte della critica e un incoraggiante
seguito, soprattutto durante i concerti. Le sue canzoni non hanno niente
di originale e si pongono senza deviazioni all'interno di una tradizione
tipicamente americana, limando le screziature del tempo.
Un cantautore classico, dunque, capace di scrivere buone canzoni, a tratti
decisamente ottime, che acquistano peso grazie a bravi e sconosciuti musicisti
(talvolta bravissimi, come nel caso del chitarrista Jason Byrd)
e una produzione assolutamente professionale (Jim Robeson). I tredici
percorsi di So Many Roads danno il meglio nelle ballate
classiche, dove il senso melodico e le qualità di storytelling di Massey
risplendono di luce propria, considerando le influenze - a volte decisamente
evidenti - sulle quali fanno leva. Il trittico iniziale serve da antipasto:
il rock blues vibrante di Dying Prayer,
il country folk di Come What May e
il roots di Note To Miss Grady esplorano
a cielo aperto generi e generazioni, mentre con Heathens
si entra nel vivo, una grandissima ballata con pedal steel e mandolino
che gocciola sensazioni di altri tempi, un punto d'incontro tra country
e tradizione che richiama il primo (e migliore) Todd Snider.
John Prine fa capolino in What You See,
bel mandolino e tipica Americana, il giovane Steve Forbert riecheggia
in You Can Come Back Home, ballad
suggestiva e intensa, poetica e melodicamente raffinata, January
Wind palpeggia il rock, con una chitarra knopfleriana e un
organo in evidenza, Things That He'll Never
Be e Susie Came Home arricchiscono
l'album delle slow song di spessore, con archi e piano a sbocciare in
una matrice sonora decisamente ben costruita. Con la title track il disco
raggiunge il climax, una ballata elettrica dotata di un refrain assassino,
mentre Julie, rapita da un organo
sixties, e Lay Your Burden Down, dedicata
a Buddy e Julie Miller, chiudono un disco solido che piacerà sicuramente
agli amanti del genere.
(David Nieri)
www.davemasseymusic.com
www.cdbaby.com/cd/dmassey2
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