Califone
All My Friends are Funeral Singers
[Dead Oceans 2009]
In un disco che nasce come colonna sonora dell'ominomo film, scritto e diretto
dal leader Tim Rutili, e dove una canzone omaggia esplicitamente nel titolo
il regista Luis Bunuel, la luna di miele dei Califone con le loro visioni
musicali dal taglio cinematografico non conosce tregua. All my Friends
are Funeral Singers - titolo quanto mai affascinante che si accompagna
ad un lungometraggio presto in proiezione nei circuiti indipendenti americani
- è la narrazione in musica di una singolare storia, tra fantasmi e boschi, ancora
una volta perno di una poetica che risveglia le forze ancestrali del folklore
americano, declinandole però con quella struttura così sghemba e ritmicamente
moderna che appartiene alla band di Chicago. Il gruppo di Tim Rutili e Ben Massarella
prosegue un cammino fatto di disturbi, rumori, silenzi e scoppi improvvisi, sotto
i quali cova una forma di ballata tradizionalissima, eppure spezzata, destrutturata
meglio secondo i canoni di quello che qualche stagione addietro avremmo chiamato
post rock.
In All my Friends are Funeral Singers per la verità c'è meno
provocazione ritmica del previsto e se si esclude l'apertura spiazzante di Giving
Away the Bride, brano che condensa dieci anni di carriera dei Califone
fra loop elettronici e radici folk blues, il resto del lavoro emana un profumo
più disteso e persino "conservatore", badando a riprendere i fili della canzone,
della melodia, inventandosi di tanto in tanto quelche diversivo ma senza stravolgere
l'anima rurale delle composizioni. In tal senso apparirà meno claustrofobico e
forse "rivoluzionario" di Heroin
King Blues e Quicksand/Cradlesnake, dischi letteralmente incensati
per la loro posizione di avanguardia nel trattare il lascito della tradizione.
Qui i Califone sono semplicemente "normali" e guarda caso ci sembrano
anche più concentrati nel far emergere emozioni, in costrasto con quella apparente
freddezza e quell'insieme di stridori elettronici del passato.
A conti
fatti, pur con tutti i loro ammennicoli di percussioni e interferenze sonore,
1928, la sussurrata Polish
Girls, il primo singolo estratto - dall'anima rock - Funeral
Singers o la stessa, anticipata, Buñuel,
piccolo capolavoro dalle fragranze hillbilly nel suono del fiddle (Jim Becker),
sono esempi di una formazione più legata alla terra che allo spazio, come potrebbe
far pensare la sua attitudine sperimentale. Diversi i momenti in cui All my Friends
are Funeral Singers ritorna infatti al mistero oscuro della folk music, ricordando
insomma più Bonnie Prince Billy rispetto a Beck, soltanto per lanciare una provocazione:
intenso il battito primordiale di Ape-like,
straniante la chitarra acustica di Alice Marble Gray
e ancor più l'accoppiata fra slide e violino in Salt,
qualcosa che potrebbe uscire da un vecchio 78 giri di Dock Boggs o dell'Anthology
di Harry Smiths. Passaggi che non impediscono ai Califone di mantenere la loro
voce fuori sincrono (il finale di Better Angels),
quella scrittura un po' obliqua che li tiene aggrappati alla modernità pur in
tutta la loro attrazione fatale verso il passato. (Fabio Cerbone)