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The
Builders and The Butchers
Salvation Is a Deep Dark Well
[Giganticy
2009]
Ramshackle, burn burner, roots … che significano queste parole? Come si
può scrivere di questa musica sradicandola dall'unico lessico che la comprende?
La soluzione è ascoltare, perciò provate uno a caso dei primi tre pezzi
di questo album e il senso autentico di questi termini si rivelerà alle
vostre orecchie chiaro e potente. Avete ascoltato e capito? Bene! Adesso
forse ne possiamo anche scrivere: all'inizio del decennio in corso cinque
ragazzi dell'Alaska - luogo inospitale visti e considerati il clima (quelle
temperature sempre al meno) e la politica (quella Sarah Palin) - lasciano
le terra natia e vanno a Portland, Oregon, città progressista e culturalmente
scintillante. A Portland i cinque scoprono la musica roots, l'Americana,
e come già altri prima di loro sentono che queste radici hanno qualcosa
in comune col punk con cui sono cresciuti, nascono così The Builders
and The Butchers: Ryan Sollee (chitarra e voce), Paul Seely (mandolino,
organo a pompa, bouzouki e tanto altro), Ray Rude (percussioni), Alex
Ellis (basso) e Harvey Tumbleson (mandolino e banjo).
L'esordio su disco risale a due anni con l'album omonimo: più una promessa
che una riuscita, oggi Salvation is a Deep Dark Well annuncia
che non resterà incompiuta giacché troviamo materiale più coeso, direzione
della scrittura ben determinata e - che non guasta - la produzione di
Chris Funk dei Decemberists che aggiunge nuove frecce alla faretra
musicale della band. Ramshackle, burn burner, roots si diceva: le note
gravi di un piano aprono l'album, poi la voce spiritata di Sollee - sopra
un tappeto di percussioni sparute e porte cigolanti che instaurano l'atmosfera
gotica del disco - "close your eyes, and you draw one more day to a
close, you choose to be alone, you float through your life as a ghost,
and everything heals given time, and everything dies given time, and the
scars run together, mixing the nerves with the blood" - poi le percussioni
diventano possenti, la voce di Sollee diventa lamento di banshee e chitarra,
banjo e mandolino rendono il ritmo indiavolato. Indiavolato? Sì, e il
diavolo è una presenza costante dell'album: domina Devil
Town e accompagna il giudice di Short
Way Home e certo non è estraneo a Barcelona
- la canzone più imprevedibile del disco - con una sezione fiati che dona
un breve ma piacevole sapore tex-mex.
Down in This Hole invece ammiccando
a Tom Waits ci narra una crisi economica i cui umori affondano più nella
Grande Depressione che ai tempi di Bernie Madoff: "Nothin' lasts forever
in a God forsaken town pocketbooks are empty 'cause the priest is back
in town he's given all his dollars to the girls who work the square you
never get a dime and there's murder in the air." Si resta negli anni '30
con Raise Up che ci riporta in Spagna
al tempo della guerra civile: "when you make fire with the devil don't
be surprised if you get burned." Sarà per esorcizzare questo satana
onnipresente che la band chiude l'album con un gospel, dimostrando d'aver
capito il senso profondo della musica roots: "there's joy and celebration
through the darkness, there's light in the hardest of times" (Ryan
Sollee).
(Maurizio Di Marino)
www.thebuildersandthebutchers.com
www.myspace.com/thebuildersandthebutchers
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