Boister
Some Moths Drink The Tears of Elephants
[Boister 2009]
Strana creatura quella dei Boister, collettivo musicale di Baltimora
dietro cui si cela l'autrice e vocalist Anne Watts: teatrali, poetici,
surreali, con un titolo al loro settimo disco, Some Moths Drink The Tears
of Elephants, che la dice lunga sulle caratteristiche di una band fuori
dagli schemi, in grado di mescolare insieme suggestioni da cabaret, canzone mittleuropea
e francese (nel loro curriculum un tributo allo chansonnier Jacques Brel), folk
americano e rock d'avanguardia in una sorta di misterioso carrozzone che qualcuno
ha giā definito un mix fra Kurt Veil, Lounge Lizards e Bob Dylan. Aldilā delle
iperboli i Boister si inventano una raccolta di ballate (e qualche strumentale
di raccordo) che tiene insieme arte e musica attraverso una visione cinematografica
del mondo. Non a caso si sono cimentati nel loro percorso con performance dal
vivo in cui accompagnavano la proiezione di lungometraggi del grande Buster Keaton,
e ancora hanno affiancato installazioni e mostre di artisti contemporanei partecipando
a seminari in universitā e gallerie.
Insomma, ce n'č davvero abbastanza
per definirli un'invenzione sui generis, guarda caso coinvolti in questo Some
Moths Drink The Tears of Elephants dalla produzione di Jim Dickinson, una
delle ultime apparizioni dello scomparso musicista del Mississippi, nel suo studio
personale Zebra Ranch a Coldwater. Strano connubio quello dei Boister con il vecchio
marpione Dickinson, peraltro spesso coinvolto dalla sua eccentrica figura in progetti
apparentemente cosė lontani dalle sue radici blues e country. L'elemento tradizionale
in realtā non č rimosso in questi quattordici episodi, che a tratti lambiscono
una matrice blues e jazzy un po'deviata, ricordando (nella voce della stessa Watts)
il soul depresso di Cat Power oppure (nell'uso di trombone e clarinetto) l'oscuritā
sinuosa dei Morphine (innegabile il richiamo in Stone).
Alla prima impressione appartengono Limes,
Some Moths, una docile Thank
You, momenti in cui la voce un poco indolente di Anne Watts sottolinea
gli enigmi (anche delle liriche) insiti nella musica dei Boister.
Completati
dalle chitarre e banjo di Curt Heavey, ma sospinti in gran parte dalla
presenza di fiati, accordion e pianoforte (gli ultimi due nelle mani della stessa
Watts), si concedono volentieri al varietā folkloristico di Song
of Eight Elephants, al circo vagamente waitsiano (periodo Swordfishtombones)
dello strumentale Bubble Up the Melodies,
alla lascivia di una Nantes cantata direttamente
in francese, giocando insomma a carte scoperte con le loro passioni. Queste ultime
includono anche una certa spigolositā dei suoni (Dance
in the Cellars), una inquietudine (Old House)
che tuttavia non si fa mai troppo esasperata, nonostante sia evidente come Some
Moths Drink The Tears of Elephants appartenga di diritto alla categoria degli
strani oggetti discografici. (Fabio Cerbone)