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Dan
Baker
Outskirts of Town
[Dan
Baker 2009]
 
Sarebbe troppo facile, e allo stesso tempo inutile, attingere al titolo
per sciorinare la solita valanga di paragoni e affini, in effetti quasi
inevitabili: vita dei sobborghi che richiama lo Springsteen in tuta blu
dei settanta, un anelito folk che guarda dritto negli occhi un tale che
bazzicava il Greenwich Village alla ricerca di risposte nel vento… C'è
un ma, un però, o quello che preferite: Dan Baker non è l'ennesimo
nuovo Dylan che va ad aggiungersi a una lista ormai indefinita di discepoli
del maestro. Certo, si parla di un cantautore classico che gravita spesso
intorno alla tradizione folk, ma tra le righe si intercetta uno stile
particolare che sposta il baricentro delle influenze un po' più a ovest,
laddove in quel di Chicago un tizio di nome John Prine muoveva i primi
passi di un percorso artistico non certo illuminato dalle stesse luci
della ribalta di cotanto collega. Si tratta di un esordio, e questo è
un dato da non sottovalutare perché ci troviamo di fronte a un artista
dotato, sopra la media, che mescola le suggestioni del natio Texas (è
nato a Fort Worth) con i ritratti della small town life dove è cresciuto,
quella del Massachusetts.
Di Prine possiede quella capacità di songwriting che taglia l'ironia con
i denti, le liriche sono schiette e pungenti, smaltite da una sbornia
di quotidiano aniteroismo. C'è Todd Snider a fare da filtro, in effetti
alcune inflessioni della voce strascicata ricordano il suo periodo post-esplosione,
quello Oh Boy, non a caso l'etichetta che lo ha messo al riparo forgiandone
in un certo senso futuro ed eredità artistica. Su quest'asse si muovono
le dieci canzoni dell'album, costruite su un impianto sonoro scarno e
semiacustico, con tessiture di organo, piano e talvolta violino a incenerire
la banalità della vita, quella che sorride quando accetta il compromesso
con la tentazione, sempre attenta però all'altrui esistenza. L'unico appunto,
se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo, riguarda una certa staticità
dei brani, che si muovono sulla stessa corda di ispirazione senza però
perdere l'equilibrio, anzi.
Così lo scandaglio sociale si immerge nella solitudine di periferia (la
title track rivestita di folk) e dà il meglio di sé in Bad
Man, perla autobiografica a passo di errore cadenzata dall'inevitabile
fascino del peccato, quello centellinato dal piano di God
Might Be Crazy, che ironizza con cautela su una questione che
fa sorridere sin dai primi versi (He invented the pleasures of skin,
but then he called those pleasures a sin). L'organo di Dreams
intercetta il fulcro di un talento, Flamingo
& Palm Tree e Surrounded
- quest'ultima lambita da un delizioso violino - giocano una difficile
partita con i problemi di cuore, Untraveled Road
è l'attualizzazione di Sam Stone a distanza di quarant'anni per dipingere
sulla tela degli orrori la triste realtà della guerra, come a dire che
dal Vietnam all'Iraq l'esperienza non ha portato consiglio. C'è spazio
per il country di Live Like A Dog,
mentre la bellissima e conclusiva Spinning 'Round
esprime a chiare lettere una predisposizione innata, capace di uscire
dalla dimensione provinciale per bussare alle porte del paradiso, che
in senso musicale sembra non rispondere più alla chiamata.
(David Nieri)
www.danbakertunes.com
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