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Ryan
Purcell
Kick the Dirt
[Ryan
Purcell 2008]
Il nome farà sorridere, ma la musica andrebbe presa sul serio, anche perché
Kick The Dirt è uno di quei rari esempi di roots rock che
non si vergogna di sporcarsi le mani, suonando rozzo e sincero senza strizzare
l'occhiolino alle regole di stile Americana. Ryan Purcell infatti
ringhia e raspa con una voce sgraziata che ha in bocca il sapore aspro
del rock'n'roll più periferico, gettando nella mischia un briciolo di
radici honky tonk e hillbilly tali da rendere il suo esordio solista un
prodotto forse di genere, ma con una marcia in più rispetto alla media
degli outsiders qui solitamente ospitati. Non è un capolavoro di belle
maniere, si sarà capito, eppure risulta credibile proprio nella sua forma
dimessa e alcolica: titoli e tematiche peraltro vanno a breccetto con
questo immaginario, fra una sintomatica When
Was the Last Tim (The Bottle Let You Down) e l'accoppiata
Don't Stop e Palmer Pickup Blues
che aprono i battenti rispettivamente con i versi "Pour me a glass
of Mr. Daniels/ give me a shot of that liquid fire" e "Could have
been the whiskey/ might have been the gin".
Attenzione però, se state pensando alle solite spacconate da delinquente
del rock, con una iconografia francamente abusata vi sbagliate di grosso:
perché Ryan Purcell sembra sfruttare alcuni luoghi comuni costruendoci
attorno uno humor nero e molto "politicizzato" in cui le sue storie montano
fino al parossismo, creando personaggi disadattati, fuori sincrono, non
disdegnando affatto di esporsi in prima linea con invettive quali Guantanamo
e The Decider. La prima apre le danze
con un walzer country alticcio degno di Terry Allen (il piano è nelle
mani di Terrill Bailie) ed è una giaculatoria sfasata e ironica sulla
tristemente famosa prigione americana: "abbiamo una prigione segreta a
Guantanamo/ le cose che fanno laggiù nessuno le vuole sapere/ il cadavere
marcio della libertà sta cominciando a decomporsi/ ma quando stai combattendo
una guerra non c'è modo di vincere/ è solamente che va finire così". La
seconda chiude il disco con una alzata di scudi anti-Bush ed un'arrembante
corsa country punk che riporta ai tempi d'oro di Jason & The Scorchers.
Liriche semplici e acuminate dunque, ma musica mai in secondo piano, con
le chitarre del fratello Evan Purcell e del produttore John
Sangster, i tamburi robusti e precisi di Mark Pickerel (anche
solista su Bloddshot ed ex Screaming Trees), una spruzzata di steel e
pianofrte all'occorenza, infilandosi nel western sound di Hit
Parade (altro testo meritevole di attenzioni), fra il rock
"younghiano" di Enough, il classicismo
alternative country di Start Coming Around
e la dolce e ubriaca cantilena di Sunshine,
un tuffo fra gli orizzonti outlaw dei Seventies. Songwriter, regista indipendente,
vagabondo (ora residente a Seattle), Ryan Purcell ha qualcosa da dire
e lo dice con pochi fronzoli e molta onestà.
(Fabio Cerbone)
www.ryanpurcell.net
www.myspace.com/ryanpurcell
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