inserito 08/09/2008

Ryan Purcell
Kick the Dirt
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Ryan Purcell
2008
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Il nome farà sorridere, ma la musica andrebbe presa sul serio, anche perché Kick The Dirt è uno di quei rari esempi di roots rock che non si vergogna di sporcarsi le mani, suonando rozzo e sincero senza strizzare l'occhiolino alle regole di stile Americana. Ryan Purcell infatti ringhia e raspa con una voce sgraziata che ha in bocca il sapore aspro del rock'n'roll più periferico, gettando nella mischia un briciolo di radici honky tonk e hillbilly tali da rendere il suo esordio solista un prodotto forse di genere, ma con una marcia in più rispetto alla media degli outsiders qui solitamente ospitati. Non è un capolavoro di belle maniere, si sarà capito, eppure risulta credibile proprio nella sua forma dimessa e alcolica: titoli e tematiche peraltro vanno a breccetto con questo immaginario, fra una sintomatica When Was the Last Tim (The Bottle Let You Down) e l'accoppiata Don't Stop e Palmer Pickup Blues che aprono i battenti rispettivamente con i versi "Pour me a glass of Mr. Daniels/ give me a shot of that liquid fire" e "Could have been the whiskey/ might have been the gin".

Attenzione però, se state pensando alle solite spacconate da delinquente del rock, con una iconografia francamente abusata vi sbagliate di grosso: perché Ryan Purcell sembra sfruttare alcuni luoghi comuni costruendoci attorno uno humor nero e molto "politicizzato" in cui le sue storie montano fino al parossismo, creando personaggi disadattati, fuori sincrono, non disdegnando affatto di esporsi in prima linea con invettive quali Guantanamo e The Decider. La prima apre le danze con un walzer country alticcio degno di Terry Allen (il piano è nelle mani di Terrill Bailie) ed è una giaculatoria sfasata e ironica sulla tristemente famosa prigione americana: "abbiamo una prigione segreta a Guantanamo/ le cose che fanno laggiù nessuno le vuole sapere/ il cadavere marcio della libertà sta cominciando a decomporsi/ ma quando stai combattendo una guerra non c'è modo di vincere/ è solamente che va finire così". La seconda chiude il disco con una alzata di scudi anti-Bush ed un'arrembante corsa country punk che riporta ai tempi d'oro di Jason & The Scorchers.

Liriche semplici e acuminate dunque, ma musica mai in secondo piano, con le chitarre del fratello Evan Purcell e del produttore John Sangster, i tamburi robusti e precisi di Mark Pickerel (anche solista su Bloddshot ed ex Screaming Trees), una spruzzata di steel e pianofrte all'occorenza, infilandosi nel western sound di Hit Parade (altro testo meritevole di attenzioni), fra il rock "younghiano" di Enough, il classicismo alternative country di Start Coming Around e la dolce e ubriaca cantilena di Sunshine, un tuffo fra gli orizzonti outlaw dei Seventies. Songwriter, regista indipendente, vagabondo (ora residente a Seattle), Ryan Purcell ha qualcosa da dire e lo dice con pochi fronzoli e molta onestà.
(Fabio Cerbone)

www.ryanpurcell.net
www.myspace.com/ryanpurcell


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