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The
Black Keys
Attack & Release
[V2
2008]
Ai patiti del rock come la gran parte dei nostri lettori, capita spesso
di sentire il bisogno, soprattutto accostandosi a nuovi album, di trovare
un che di rassicurante, qualcosa che riporti a sonorità usuali (qualcuno
dirà anche abusate, ma questo è un altro discorso), già sentite mille
volte ma per questo riconcilianti. Ebbene, nel mettere nel lettore questo
nuovo dischetto del duo di Akron (capitale mondiale dei pneumatici, dalla
quale provenivano anche quei folli genialoidi che rispondono al nome di
Devo) la prima impressione è quella di avere per sbaglio acquistato un
disco prodotto all'incirca nel 1972. Già l'inizio è particolarmente spiazzante,
con la caracollante ballata All You Ever Wanted,
dai suoni piuttosto torbidi e che si chiude con una splendida coda di
organo hammond, come non se ne sentono più di questi tempi.
Poi, già dalla seconda traccia, capiamo meglio con chi abbiamo a che fare.
L'uno-due I Got Mine/ Strange
times è una specie di rifferama che si rifà tanto agli Zeppelin,
quelli buoni dei primi quattro dischi, quanto al blues del Delta ed all'etica
della cantina di Exile of Main Street. Si continua con ballate bluesate,
cariche degli odori del Mississipi, come Psychotic
Girl, ma cariche anche di una certa psichedelia tutta sixty
come dimostra Lies. C'è poi il rock
and roll duro e puro di Remember when (Side B)
e quello più bluesato di Ocean and Streams.
Ma il punto più alto del disco si raggiunge con So
he Won't Break, che è probabilmente il momento più originale
di tutti, con la chitarra carica di tremolo dell'ospite Marc Ribot
(piccolo excursus: ha perfettamente ragione il nostrano Vinicio Capossela
quando sostiene che tutti i dischi in cui il grande Marc suona valgono
la pena di essere ascoltati anche solo per la sua presenza) che disegna
l'intero panorama sonoro del brano. Ultima segnalazione per Same
Old Thing, che sembra una out-take di Stand Up dei Jethro Tull,
sia per il flauto traverso che compare fin dall'inizio, sia per il secco
riff della chitarra di Dan Auerbach (una delle due metà dei Black
Keys, mentre l'altra è Patrick Carney).
Detto tutto ciò, nel cercare di dare un giudizio sommario a questo album,
prima di trarre le conclusioni, bisogna porsi una domanda: che cosa si
cerca da un disco rock nel 2008? Se si tratta dell'originalità a tutti
i costi, il colpo di genio che inventi sonorità mai sentite prima, bè,
allora bisogna stare lontani da Attack and Release dei Black
Keys. Se invece cercate brani e suoni che riportino la mente ai bei tempi
andati, filtrati magari con un po' di insolenza giovanile (non dimentichiamo
che i due Black Keys hanno entrambi soltanto 27 anni), questo è un disco
che fa per voi. Certo, è assolutamente derivativo (parola quanto mai cara
a certo giornalismo musicale), eppure suona talmente familiare da sembrare
quasi consolatorio. Sicuramente, fosse uscito nel 1972, sarebbe stato
un capolavoro. Oggi, però, siamo nel 2008…
(Gabriele Gatto)
www.theblackkeys.com
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