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Nathan
Holscher
Even the Hills
[Nathan
Holscher 2007]
Figlio di uno spleen minore (o minimalista, se preferite, ma in senso
buono), come molti suoi coetanei folksinger che hanno scelto i pennelli
della tradizione per dipingere i loro malinconici bozzetti, il giovane
Nathan Holscher ci manda una cartolina dall'Ohio - la seconda della
sua carriera, l'esordio, Pray For Rain, nel 2004 - che potrebbe anche
non finire dimenticata in un cassetto, come si crederebbe dopo un primo
distratto sguardo. E' un album, questo Even the Hills, che
si insinua lentamente tra le pieghe delle nostre giornate, per ricordarci
la dolce tristezza dello scorrere del tempo, i segnali della consunzione
sullo sfondo di un paesaggio familiare. Come la bella copertina, divani
abbandonati nei prati e carcasse di auto ai bordi di una strada di campagna.
Lo fa con una scrittura nutrita della grande narrativa del suo paese,
strade e colline a fare da sfondo a parole semplici ma evocative, con
un continuo riferimento a luoghi e cose, correlativi oggettivi di un mondo
osservato con lo sguardo di chi si chiama fuori della competizione e guarda
disincantato ma partecipe la vita intorno a sé. Lo fa, soprattutto, con
una musica in cui scorre la linfa di una tradizione precisa, che ha Townes
Van Zandt come padre spirituale (Maria,
ballata scorticata da una tristezza che stringe il cuore, ha più di un
debito verso il maestro di Fort Worth) e il solito Ryan Adams come riferimento
più immediato (l'iniziale My Sweet).
Le note della cartella stampa ci informano anche di una passione del giovanotto
per i Dire Straits. Verrebbe da prenderla come una boutade, se
non fosse che a guardare più da vicino si scopre in alcuni brani (Hard
High and Blue e Too Many Roads)
quel passo da galoppo, a volte trattenuto, a volte no, con cui 30 anni
fa Mark Knopfler partiva alla conquista delle praterie dell'ovest americano
dal suo monolocale del West End di Londra...
Chitarra (acustica), basso batteria, banjo e pedal steel. L'armamentario
di Holscher è tutto qui, tirato a lucido da Ric Hordinski, chitarrista
in proprio e produttore degli Over the Rhine. Ma il vero valore aggiunto
è l'apporto, praticamente in tutte le canzoni, di Tasha Golden,
chanteuse degli Ellery: alla fine, i brani che restano nel cuore sono
quelli in cui più emerge il suo contrappunto vocale (Locust,
la già citata Maria e la title track su tutti). A ben guardare, l'unico
piccolo grande limite, che non consentirà a Nathan di diventare il nuovo
Damien Rice, è forse proprio nella sua voce, intima per necessità e scarsa
estensione: un sussurro che non riesce a farsi mai urlo, ad alzare il
livello dell'emozione dalla malinconia alla rabbia. Ma per 35 minuti (tanti
ce ne chiede, della nostra attenzione) può andare bene anche così.
(Yuri Susanna)
www.nathanholscher.com
www.cdbaby.com
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