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Alejandro
Escovedo
Real Animal
[Back
Porch
2008]

"Sta tutto nel pensare che sei diventato grande, e poi accorgerti che
non è vero". E' con questa frase che Joe R.Lansdale chiude la serie
di lezioni di vita imparate dal giovane Stanley nel romanzo La Sottile
Linea Scura: passiamo la vita a impegnarci a crescere, ma a maturità raggiunta
ci accorgiamo che le cose a cui teniamo di più sono ancora quelle che
hanno caratterizzato la nostra infanzia. E' questo il vero senso di Real
Animal, nuova fatica di Alejandro Escovedo, uno che ha
avuto una lunga gestazione come musicista e un' età artisticamente adulta
raggiunta a quarant'anni suonati.
E ora che ne ha 57, invece di dare un senso alla svolta stilistica solo
abbozzata da The Boxing Mirror, lui realizza un'operazione che sa di pura
nostalgia. Il glam-rock, i Velvet Underground, gli Stooges e il primo
punk californiano degli anni 70: erano questi i giocattolini con cui è
cresciuto, e sono questi i miti rincorsi da Real Animal, fin dalla scelta
di far produrre tutto a Tony Visconti, l'uomo che si inventò David
Bowie e Marc Bolan. E questi balocchi del giovane Alejandro tornano tutti,
sotto forma di racconti da mitologia rock (Chelsea
Hotel '78, Escovedo era realmente presente quando in una stanza
ci morì Sid Vicious), di dediche dirette agli idoli (Real
As An Animal, vera e propria glorificazione di Iggy Pop) o
ad amicizie perdute (lo scoppiettante inizio di Always
a Friend), oltre ad alcune evidenti citazioni (Sensitive
Boys si adagia sullo stesso tappeto di Coney Island Baby di
Lou Reed, Smoke era già da qualche
parte anche nei dischi dei Mott The Hoople). E come tutti questi poster
attaccati alla parete del giovane Alejandro siano riaffiorati nel corso
degli anni, ce lo racconta lui stesso, ricordando la sua prima punk band
(Nuns Song), l'incontro con i Rank
And File (Chip N'Tony, dedicata ai
fratelli Kinman), e la scoperta del roots-rock che scorre nelle vene di
People (We're Gonna Live So Long).
Il tocco di classe arriva con Golden Bear,
brano emozionante che non solo sfrutta ritmo e tema di Ashes to Ashes
di Bowie, ma pone un ideale parallelo tra il Major Tom drogato e ormai
alla deriva nello spazio, raccontato in quel sequel della vicenda di Space
Oddity, e la storia della propria invalidante malattia, con un tragico
interrogativo posto alla fine di ogni verso: perché proprio a me?. Escovedo
racconta tutto senza mitizzare o eccedere in facili romanticismi, non
sembra aver nulla di cui vantarsi, se non l'essere sopravvissuto a tutto
ciò (come realizza nelle conclusive Swallows
Of San Juan e Slow Down).
Ma il vero miracolo lo ha fatto realizzando un disco musicalmente attualissimo
pur partendo da una voglia di revival, cucendo come un patchwork i suoi
proverbiali archi con le cattivissime chitarre dell'amico Chuck Prophet
(co-autore di tutto il disco), bravo a travestirsi da Mick Ronson o da
Ron Asheton senza perdere personalità.
Ci aspettavamo un disco implorante compassione, ci ritroviamo invece con
un esplosione di grinta degna di un ventenne. Come quelli di una volta
naturalmente…
(Nicola Gervasini)
www.alejandroescovedo.com
www.myspace.com/alejandroescovedo
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