inserito
14/05/2007
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Wilco Ufficialmente in uscita a
maggio, Sky Blue Sky è stato messo on-line dagli stessi
Wilco già da fine marzo, secondo una consuetudine di Jeff Tweedy,
da sempre convinto sostenitore dell'inutilità di rendere difficile al
pubblico l'accesso alle proprie opere. La prima impressione generale è
che mentre per ironia della sorte l'amico/nemico Jay "Son Volt" Farrar
si è imbarcato in una "ricerca" fino ad oggi impensabile per il paladino
della tradizione di casa Uncle Tupelo, lui sembra che si sia invece deciso
a tornare a casa dopo tanto girovagare alla ricerca di suoni e sfumature,
che lo liberino dalle etichette di padre dell'alternative-country, abbandonando
le odissee nei mari stranieri dell'elettronica e concentrandosi sulle
chitarre, che qui regnano sovrane e incontrastate, anche grazie al felice
innesto in formazione dello splendido Nels Cline, musicista d'avanguardia
jazz attivo fin dal 1980 con i suoi Quartet Music. Ma soprattutto una
partenza così "convenzionale" come Either Way sembra suggerire
che per la prima volta Tweedy abbia pensato ad un album partendo dalle
canzoni e non dall'idea di un suono, quasi a voler rispondere agli scettici
che non riuscivano ad impressionarsi davanti alla magniloquenza stilistica
di A
Ghost Is Born, accusandolo di prestare scarsa attenzione nella
scrittura dei brani. Ed eccolo qui il nostro Ulisse che torna ad Itaca
per dedicare un pugno di canzoni d'amore soffici e ispirate alla sua Penelope,
eppure, l'avrete capito, c'è un "ma" che affiora piano piano dopo molti
ascolti. Il fatto è che proprio come Ulisse tornò sì ad Itaca, ma non
vi resistette che per pochi anni prima di imbarcarsi in nuove avventure
(secondo la versione dantesca della storia), il Tweedy rilassato di Sky
Blue Sky non riesce a celare una certa inquietudine, e lo si capisce
dalla costruzione di molti brani: partono tutti come semplici ballate,
simili per certi versi a certi episodi prestati in passato al progetto
dei Golden Smog, ma dopo un po' esplodono in un assolo, un refrain, uno
stacco, qualsiasi cosa serva a placare la nervosa necessità di non rimanere
chiuso nelle gabbie dell'ovvietà. In questo senso i brani di Sky Blue
Sky sono forse ancora più sperimentali delle scritture pseudo-pop di SummerTeeth
e Yankee
Hotel Foxtrot o delle stupende e originalissime psichedelie
di A Ghost Is Born, e questa impressione tocca l'apoteosi in brani perfetti
come You Are My Face o Shake It Off. La luce rossa del "warning"
però si accende in alcuni episodi in cui Tweedy per la prima volta dà
l'impressione di avere in mente modelli precisi del passato, come capita
nella "JohnLennoniana" Hate It Here, nella marcetta "à la Kinks"
di Walken o in qualche passaggio alla Neil Young. Alla fine l'insieme
convince comunque e talvolta esalta davvero, ma il timore è anche che
questo sia un disco che chiude un'era. La speranza è che il nostro Ulisse
riparta presto dalla sua Itaca per nuovi viaggi, altrimenti il prossimo
capitolo potrebbe essere davvero quello di una tranquilla, misurata e
spaventosa "normalità". |