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il 01/05/2007 | |
Mavis
Staples 1/2 Doveva spuntare all'orizzonte
la figura di Ry Cooder, mai così attivo e ispirato come in questo 2007,
per ridare fiducia ad una delle voci più profonde e intense della tradizione gospel
& soul, Mavis Staples. We'll Never Turn Back, introdotto
da una splendida copertina, ricca di evocazioni e pathos, è il disco che rimette
insieme i tasselli di una carriera solista mai troppo generosa, confrontata ad
un passato ingombrante e comunque essenziale, quello degli Staples Singers, gruppo
a conduzione familiare in cui Pops Staples ha allevato la figlia Mavis alla scuola
della grande tradizione spritual gospel del profondo Sud. Mai completamente assecondata
nelle sue qualità artistiche, Mavis ha inciso di rado, disseminando una discografia
non sempre all'altezza del suo talento. Il progetto stesso che sottende We'll
Never Turn Back indica invece un cambio di rotta e la completa riappropriazione
di un linguaggio musicale nel quale la nostra protagonista diventa testimone di
una forza e di una passione che riesce a schivare la retorica. Raccogliendo in
gran parte traditional arrangiati e rimessi a nuovo, due composizioni firmate
dallo stesso Cooder, un brano orginale ed uno del misconoscuto bluesman JB Lenoir,
l'intento è esplicitato dalla scelta del repertorio e dalle stesse note interne
al cd scritte da Mavis: riaffermare il valore della lotta per i diritti civili
degli anni sessanta, rievocare un'epoca per dare un senso nuovo alle ingiustizie
di oggi. Una strada di conquiste e di dolori, di opposione e di unione, vissute
in prima persona dalla familia Staples, allora testimone in prima linea con canzoni
che rappresentavano un vento di cambiamenti. "I saw it with my own eyes/So
I know it's true" declama Mavis Staples nei sette travolgenti
minuti dell'autografa My Own Eyes e non puoi non crederle sulla parola:
ha visto in faccia il volto più bieco del razzismo e sembra ricordarcelo come
un monito, ora che le tristi vicissitudini di New Orleans hanno risvegliato il
popolo americano da una favoletta ben confezionata. È ancora tempo di lottare,
idealmente al fianco del Doctor King, come ama ricordarlo Mavis, e per farlo occorre
ridare senso a queste canzoni con un suono per nulla formale. Ecco dunque che
le presenza storica dei Freedom Singers (nati in Georgia dalla cosidetta
Student Nonviolent Coordinating Community) si compenetra con il gruppo vocale
sudafricano Ladysmith Black Mambazo, mischiando passato e presente, battaglie
comuni seppure lontane geograficamente, il tutto avvolto da un suono denso, sinuoso,
che sa al tempo stesso di tradizione e modernità. Il groove penetrante di Down
in Mississippi, le ritmiche di 99 and ½, i contorni soul eleganti di
I'll Be Rested rappresentano la faccia più aperta e contemporanea del disco,
prodotte con mano sicura da Joachim Cooder insieme al padre, mentre il
lavoro immenso di quest'ultimo alle chitarre slide e mandolino, unito all'impeccabile
sezione ritmica formata da Mike Elizondo (basso) e Jim Keltner (batteria)
bilancia con un sound diviso fra sensuali impulsi elettrici (la torbida Eyes
on the Prize, una scalciante rock song quale This Little Light of Mine)
e naturali propensioni verso le radici black (l'autorevolezza gospel di On
My Way, e ancora il roots sound di Turn Me Around e la potenza trascinante
di Jesus Is on the Main Line). Una grande lezione di vitalità, storia e
fede, oltre che una ulteriore dimostrazione dello straordinario impegno della
Anti nel ridare senso alla black music: dopo le rinascite artistiche di Solomon
Burke e Bettye Lavette è oggi il turno di Mavis Staples. Ed è un altro
trionfo. |