inserito
02/08/2007
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The
Pines 1/2 Il nome che si sono scelti
non è così misterioso quanto in realtà vorrebbe essere la formula
sonora degli stessi Pines, sostanzialmente un duo artistico aperto
a più collaborazioni e legato indissolubilmente alla scena roots dell'Iowa,
per evidenti parentele, non solo discografiche. Benson Ramsey svela
infatti nel cognome il rimando al padre Bo, chitarrista sopraffino e compagno
di avventure da decenni di Greg Brown, altro nume tutelare dei Pines,
mentre lo sparring partner David Huckfelt, pur non avendo una discedenza
diretta, è cresciuto nel medesimo alveo country blues che da tempo immemore
nutre la produzione di casa Ramsey. Sparrows in the Bell segue
di tre anni l'omonimo esordio per la Trailer records, minuscola etichetta
che ha tenuto a battesimo diversi eroi locali. In questa occasione ci
si è messa di mezzo la Red House, rifugio sicuro per la canzone folk di
qualità, presentando la musica dei Pines quale affascinante commistione
di suggestioni indie rock bagnate nel grande fiume della tradizione. Il
fatto che i nostri protagonisti siano cresciuti in Arizona e che abbiano
abitato in un Mexican Barrio non li rende automaticamente la risposta
del Midwest alla musica dei Calexico, come qualcuno ha scritto sulla stampa
statunitense. Sparrows in the Bell non è insomma la nuova frontiera dell'Americana
sound ne tanto meno un matrimonio inedito fra radici e modernità, piuttosto
rimane una raccolta di ballate vagamente tenebrose sospinte a vele spiegate
dalle chitarre impeccabili di papà Bo Ramsey, anche produttore,
vero e proprio mattatore di un disco altrimenti un poco inconsistente
e soprattutto ripetitivo. Diviso idealmente in due fronti di ispirazione,
si barcamena su dolci episodi di impostazione folkie, tra un lieve fingerpicking
di chitarre e banjo ed un canto etereo: Horse & Buggy, oppure la
più scintillante country song Without a Kiss, la quale però ricorda
troppo da vicino Greg Brown, e ancora Circle Around the Sun, Light
Under the Door…via di questo passo fino alla chiusura di Goin'
Home, forse tra le più commoventi. Sull'altro versante qualche intromissione
di stilemi più scuri, country blues aridi e minacciosi (Don't Let Me
Go, Let's Go, la cover del traditional Careless Love).
Canzoni, queste ultime, limacciose, che denotano senz'altro un'idea precisa
della direzione musicale da intraprendere, così come un suono riconoscibile,
ma mettono in mostra anche una stanzhezza compositiva che non sembra segnalare
i Pines quali nuovi profeti del linguaggio tradizionalista, alemno quello
più aperto alla sperimentazione. Sono soltanto un'altra alternativa roots
dalla provincia americana che deve crescere per farsi ascoltare. |