inserito 23/07/2007

Mark Olson
The Salvation Blues
[
Hacktone  2007]

1/2

Nonostante Michele Gazich, in comprensibile vena d'esagerare, lo definisca "il Jean-Paul Sartre d'America", il Mark Olson di The Salvation Blues non ha poi molto a che fare né con l'esistenzialismo, né con il comunismo, né con le anfetamine (tre cose che all'autore di "L'Essere E Il Nulla" stavano molto a cuore). Tuttavia, sarebbe sciocco non riconoscere a questo album una cifra intensamente personale, poiché trattasi pur sempre del rendiconto di anni non proprio facili nella vita di Olson, purtroppo segnata in profondità da una separazione assai sofferta, dal tragico suicidio del padre e dalla grottesca deformazione dei connotati di quella nazione americana che, oggi come oggi, il nostro, non riconoscendola più, si dice impossibilitato a chiamare "patria". Quale terapia migliore dunque, per affrontare dolore e sradicamento, che chiamare a raccolta qualche vecchio amico per cantare ancora una volta rock e country a due o più voci, come negli anni dell'apprendistato giovanile? Sicché The Salvation Blues risulta proprio essere la "cura" per la salvezza di Mark Olson, che continua a proferire ruvide ballate roots con l'adorabile sbadatezza degli Original Harmony Ridge Creekdippers (cioè quando sembrava che registrare dischi fosse diventato un modo qualunque per divertire l'ex-moglie Victoria Williams e i numerosi cani di famiglia) ma non aveva a disposizione brani così efficaci dai tempi dei mai troppo lodati Jayhawks. Per raccontare l'esilio interiore di National Express, le ferite d'amore di My Carol e i vagabondaggi europei di Clifton Bridge, l'artista ha chiamato a raccolta il violino del citato Gazich, la produzione vintage di Ben Vaughn, l'organo di Zac Rae, le steel-guitars impagabili di Greg Leisz e la chitarra ferrosa di Tony Gilkyson; la presenza più gradita di tutte, però, è quella dell'ex compagno di scorribande classic-rock Gary Louris, tornato con Olson a rinnovare il formidabile team-up di scrittura e voci che aveva reso indimenticabili i Jayhawks. Quando Louris compare nel folk-rock arioso di Poor Michael's Boat, a materializzarsi è un'antica magia che torna inalterata anche nella soffice Sandy Denny, dove Olson sembra riflettere proprio sul rapporto controverso col vecchio amico ("le cose che crediamo di odiare negli altri / finiamo sempre per ritrovarle in noi stessi"). Keith e Look Into The Night si inabissano nell'oscurità del disturbo psichico, ma la conclusiva My One Book Philosophy, in pratica un lungo assolo di Wurlitzer dello stesso Olson, rischiara le nubi della depressione attraverso un tenue raggio di speranza e conforto interiore. L'epoca dei capolavori è lontana, e forse definitivamente messa in disparte, ma non è un buon motivo per non lasciarsi coinvolgere dal "blues della salvezza" di Mark Olson: in queste undici canzoni ci sono medicinali adatti a chiunque.
(Gianfranco Callieri)

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