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21/11/2007 |
Levon
Helm Levon
Helm è tornato. A venticinque anni di distanza dall'ultimo album vero e proprio,
risalente al 1982, l'ex batterista nonché una delle voci soliste di The Band ha
rimesso piede in studio con la determinata intenzione di registrare un disco che
costituisse una sorta di summa della sua ultraquarantennale carriera. Tra l'album
dell'82 e questo, però, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. C'è stata
l'avventura del Levon Helm Studio, il suo personale studio di registrazione costruito
completamente in pietra e nel quale sono passati in tanti, da Elvis Presley a
John Hiatt, da Keith Richards ai My Morning Jacket. C'è stata poi la morte dell'amico
fraterno Rick Danko, che ha lasciato in Levon un pesante strascico di dolore.
C'è stata infine la battaglia più difficile, quella contro il cancro, che lo ha
preso alla gola, mettendo a rischio non solo la sua voce ma soprattutto la sua
vita. Ma Levon è uno tenace, una vecchia pellaccia, e non solo ha sconfitto la
malattia ma, e la cosa ha quasi del miracoloso, ha recuperato completamente la
sua voce, a differenza, per esempio, di John Prine, colpito anch'egli da tumore
alla gola. Ed ora, a sessantasette anni suonati, Helm raccatta tutto ciò che ha
imparato nella sua vita e lo butta in questo Dirt Farmer, con la
precisa volontà di tracciare un sentiero musicale capace di portare l'ascoltatore
alla scoperta dei suoni dell'America rurale e contadina. Levon quelle tradizioni
musicali le ha respirate fin da bambino, quando nelle campagne dell'Arkansas (ricordiamo
che Helm era l'unico Statunitense della Band) ascoltava sua madre, raccoglitrice
di cotone, cantare e suonare il violino, e le ha poi sviluppate lungo tutto l'arco
della sua carriera. I brani sono tutte composizioni altrui, che spaziano dalla
Carter Family a Steve Earle, dal blues di J. B. Lenoir ai
molti traditional che infittiscono il disco. Ad accompagnare la miracolata voce
di Levon in questo viaggio sentimentale troviamo un gruppetto di amici, tra cui
la figlia Amy (cantante degli Ollabelle), Buddy Miller, la cantautrice
Teresa Williams, il batterista George Receli ed il polistrumentista
Larry Campbell (il vero "direttore d'orchestra" del gruppo, che si divide
fra chitarre di ogni genere, violino e mandolino), questi ultimi già con Bob Dylan,
come per sottolineare anche qui una sorta di continuità con il passato. Dentro
le tracce di questo disco c'è tutta la musica popolare americana del ventesimo
secolo. C'è il bluegrass della iniziale False Harted
Lover Blues, ci sono i fiddle tunes di paese (Anna
Lee), c'è il suono senza tempo delle cantine di Big Pink (una stupenda
The Mountain, proveniente dal repertorio
di Steve Earle e qui caricata di un'epicità che l'originale non conosceva), c'è
il blues asciutto del delta di Feelin' Good,
ci sono le ballate "spaccarespiro" come la conclusiva
Wild River to Cross. C'è, insomma, l'intera storia di un popolo,
quello americano, con tutte le sue vicende di lotta, di amore, di sofferenza e
di speranza. |