Patty
Griffin
Children
Running Through
[ATO
2007]
  1/2
Disco
dopo disco (e comunque centellinandoli: siamo giusto al quinto in undici
anni), Patty Griffin è riuscita a guadagnarsi la fedeltà di una
fetta di pubblico ormai ben oltre il rango dei cult-followers, e c'è da
credere che questo Children Running Through, equilibrato,
espressivo e riuscito com'è, altro non farà se non aumentarne ulteriormente
le dimensioni. Dacché trattasi in effetti dell'album della definitiva
maturità dell'artista, laddove per compimento del processo di maturazione
s'intende proprio la misura pressoché perfetta con cui tutti i fermenti
in stato di ebollizione nei lavori precedenti si sono ora combinati, così
proiettandosi in un linguaggio immediatamente riconoscibile e del tutto
personale. L'unico avvertimento che mi sento di elargire all'avventore
occasionale è quello di mettersi l'animo in pace circa la presenza di
emozioni forti, che nel microcosmo stilistico di Patty Griffin sono volutamente
bandite: non ci sono, qui, accelerazioni improvvise, scossoni inaspettati
o curve affrontate di proposito a gran velocità. Ci sono però musicisti
eccezionali che, accomodandosi nell'eleganza delle harmonies al solito
impeccabili di Emmylou Harris, assecondano con sensibilità innata
le pulsioni dolci e garbate di una scrittura dove in cui lo spirito descrittivo
e la simmetria dei dettagli contano molto di più dell'istinto puro e semplice,
sicché il contrabbasso di Glenn Worf regala sfumature jazz all'apertura
tenue di You'll Remember, la sei corde di Doug Lancio imperversa
in una Getting Ready che sembra un omaggio in formato rockabilly
al Dylan degli anni '70, il pianoforte di Ian McLagan e il violino
di Jane Scarpantoni costruiscono la più azzeccata delle cornici
per il tour de force chiesastico di quella Heavenly Day pochi mesi
or sono regalata al Solomon Burke di Nashville. Non è tutto, naturalmente,
visto che anche l'errebì bianco della lunga Stay On The Ride, il
memorabile country-rock di Trapeze, la struggente radiografia sentimentale
di Burgundy Shoes, l'accorato omaggio a Martin Luther King di Up
To The Mountain e la solitaria compostezza di I Don't Ever Give
Up reclamano un'opportuna citazione. Più che dei singoli brani, tuttavia,
preme dar conto dell'atmosfera di squisita armonia che domina in tutto
l'album: non si tratterà del capolavoro raccontato da qualcuno (anche
perché, con tutto il rispetto e la simpatia, lo spessore "cruciale" di
Astral Weeks o I Never Loved A Man The Way I Love You, giusto per menzionare
due tra i possibili termini di paragone tirati in ballo dalla fazione
degli entusiasti, sembra in ogni caso ancora lontano), ma è senz'altro
il disco con cui Patty Griffin, senza rinunciare all'innocenza gioiosa
della debuttante, è finalmente riuscita a parlare di sé con tutta l'autorevolezza
del classico.
(Gianfranco Callieri)
www.pattygriffin.com
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