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12/03/2007
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Willie
Nelson, Merle Haggard, Ray Price Terminerà a fine marzo,
dopo una quindicina di date che avranno attraversato gli interi Stati
Uniti, il tour appositamente denominato The Last of the Breed,
occasione più unica che rara di mettere in fila sullo stesso palco
cinquant'anni circa di country music e non solo. Last of the Breed
è anche il titolo di una libera collaborazione fra Willie
Nelson, Merle Haggard e Ray Price, tre colossi dell'American
music che più volte in passato avevano incrociato i loro destini,
ma mai in un progetto a sei mani, con la bellezza di ventidue canzoni,
due inediti e numerosi ospiti. Sono effettivamente gli ultimi superstiti
di una stagione leggendaria e lontana, tre icone di un mondo lentamente
scomparso, quando la tradizione rurale e il verbo country sudista approdava
nella grande città per farsi più vicino ai gusti del grande
pubblico. Willie Nelson è rimasto certamente il più attivo
e ispirato, in grado ancora oggi di mettersi gioco con quel suo spirito
musicale da camaleonte e calandosi volentieri al fianco dei nuovi talenti
(vedi il recente disco con Ryan Adams). Anche Merle Haggard ha conosciuto
il suo risveglio artistico proprio in questi anni, dimostrando di avere
acquisito una profondità un tempo impensabile. Forse Ray Price
è il meno noto al pubblico rock e roots non americano: un grande
honky tonk man, amico di Hank Williams, e poi protagonista del suono Nashvilliano
degli anni sessanta, fu proprio grazie a lui che partì la carriera
di Nelson. La Lost Highway ha dunque preso al volo l'occasione per riunirli
sotto lo stesso tetto, lasciandoli sfogare in una antologia di suoni e
immagini dal passato. Dalla produzione deluxe di Fred Foster, un
vecchio marpione degli studi di Nashville, alle partecipazioni di Buddy
Emmons (steel guitar) e Johnny Gimble (violinista nei Texas
Playboy), fino ai camei di Kris Kristofferson e Vince Gill,
tutto qui ha il sapore di una passerella, di un'operazione nostalgica.
Difficile che Last of the Breed non risultasse così, avendo scelto
i nomi di Gene Autry (The That Silver Haired Daddy of Mine), Harlan
Howard (Heartaches by the Number, grande successo anche per Buck
Owens, Pick Me Up on Your Way Down), Leon Payne (l'arcinota Lost
Highway per Hank Williams, una I Love You Because che anche
Elvis fece sua) e Lefty Frizzell (Mom and Dad's Waltz, I Love
You a Thousand Ways) come punti cardinali di una scaletta che prevede
persino l'inclusione di qualche "giovane" discepolo della seconda
rivoluzione country di fine anni sessanta, con i nomi del compianto Mickey
Newbury (Sweet Memories) e del già citato Kris Kristofferson
(quella Why Me Lord che piaceva tanto a Johnny Cash). L'insieme
non profuma di leggenda, quanto di uno squisito divertissment, probabilmente
un po' fine a se stesso: i nostri protagonisti gigioneggiano tra
western swing, honky tonk, ballate spezzacuori e molto, forse troppo mestiere.
In fondo, vista la loro carta d'identità, è un peccato che
gli possiamo anche perdonare |