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12/05/2006
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Wrinkle
Neck Mules Un salto nel recente passato
del rock provinciale americano, grazie a questa formazione di Richmond,
Virginia, che delle intersezioni fra acustico ed elettrico, fra radici
e rock'n'roll, fa tesoro per rinverdire la tradizione dell'alternative
country più incotaminato. Nulla di nuovo sotto il sole dunque, ma una
maturità ed una perfezione nel delineare melodie e impasti vocali che
portano Pull The Brake, secondo lavoro dei Wrinkle Neck
Mules, ad essere un prodotto distinguibile dalla massa di proposte
roots e Americana che inondano il mercato, in definitiva uno dei migliori
dischi di genere degli ultimi mesi. Se avete l'animo sensibile per gli
Uncle Tupelo, magari quelli più maturi di certi episodi contenuti
nell'epitaffio Anodyne, oppure avete sempre apprezzato formazioni dal
carattere godereccio e al tempo stesso romantico come i texani Gourds
o gli Old 97's (prova ne siano Sugar & Sunshine e la conclusiva
Put Your Guitars Where Your Mouth Is), questi cinque ragazzi fanno
al caso vostro. Nella ricetta di Pul the Brake nessun stravolgimento di
sorta, ma un gioco di chitarre acustiche, banjo e mandolini che va a sovrapporsi
minuziosamente con le scosse elettriche di una rock'n'roll band di periferia,
toccando temi e atmosfere care al movimento No Depression. Hanno debuttato
nel 2003 con il già positivo Minor Enough, accolto con favore in Inghilterra;
oggi alzano la posta delle loro ambizioni registrando il disco agli Haunted
Hollow Studio di Charlottesville con la produzione di Chris Kress e
avvalendosi delle collaborazioni di Bonnie "Prince" Billy, un cameo
vocale nellla suggestiva ballata desertica Lowlight, Brian Jones
(batteria, Agents of Good Roots), Anne Marie Calhoun-Simpson (violino
e viola, dagli Old School Freight Train) e Rob Evans (tastiere,
Watts Passage). A queste presenze va aggiunto l'essenziale gioco di squadra
dei Wrinkle Neck Mules, che condividono il songwriting e persino il cantato:
la maggior parte dei brani è affidata alla voce di Andy Stepanian
(chitarre), ma il turno spetta anche a Mason Brent (chitarre, mandolino,
pedal steel), Chase Heard (chitarre, banjo) e Brian Gregory
(basso), ai qauli si aggiunge il batterista Stuart Gunter. Su questa
linea l'eccesiva somiglianza del materiale viene stemperata, anche se
la maggiore critica che va mossa a Pull the Brake è proprio il suo intestardirsi
su una lunga sequenza di ballate country rock rurali e ciondolanti (Eyes
Down, Light of Day, Weeps, When Things Unravel),
alternate a marcette agresti con ampio uso di banjo e mandolino (Okeechobee,
gli accenti bluegrass di Push the Pedal), e variando la ricetta
secondo le regole del roots rock più genuino (True to the Vine,
Mecklenburg County). Un disco più contenuto (qui superiamo l'ora)
avrebbe forse aumentato il fascino "demodè" di Pull the Brake, il quale
resta comunque una lezione di stile alternative country. |