inserito
il 01/12/2006
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![]() Kreg
Viesselman Se avete ancora a cuore
la semplicità disarmante di una folk song, la sincerità di ballate disadorne
eppure ricche di pathos e melodia, allora scoverte in The Pull
di Kreg Viesselman un luogo sicuro dove far riparare i vostri
ascolti. La scoperta di questo trentenne dalla voce profonda, che sembra
tradire una maturità ed un'esperienza ben più consolidate, è stata un
colpo di fulmine: un disco che poteva disgraziatamente diventare una nota
a margine fra le molte produzioni che abbiamo la fortuna di vagliare qui
a RootsHighway, ed invece si è imposto per forza di cose con la sola qualità
delle sue canzoni. Viesselman, nativo del Minnesota, ha inseguito la buona
stella del songwriting, quella che lo ha portato nel New England: tra
festival a carattere folk e molte pacche sulle spalle si è guadagnato
la stima di qualche collega (Taj Mahal su tutti, che sul ragazzo ha speso
buone parole) e le attenzioni di un pubblico di settore. Dopo il primo
timido approccio, acustico e solitario, del suo esordio Many Rivers (o
quasi…lo precede un Live at the Cellar Door ormai introvabile)
The Pull cerca di uscire dalle sacche di un circuito nobile ma un po'
circoscritto e ghettizzante. Registratto con il suo bassista Evan Reeves
negli studi inglesi della stessa Red Kite records, ampliato nella
formula con la presenza di chitarre elettriche (John William) wurlitzer,
pianoforte (Eric Moon) ed una sfavillante sezione di backing vocals
femminili (Rachel Davis, Liz Barnez e Danya River),
la nuova raccolta tiene fede alle radici acustiche del personaggio aggiungendovi
tuttavia profumi soul e blues, aumentando di conseguenza l'appeal della
voce. Quest'ultima è passionale, calda, l'arma migliore a disposizione
di Viesselman che unita alla sua scrittura romantica, immaginaria e sensibile
al sociale, riesce a trasformare in qualcosa di magico ballate che risultano
nella loro sostanza musicale assai sobrie. Prova ne sia l'accoppiata iniziale
con Saturday Night e la stessa The Pull: la prima elargisce
un respiro folk rock antico con un'armonica bluesy che ricorda da vicino
il debutto di Ray LaMontagne, mentre il pianoforte e i cori southern della
seconda trasudano anima gospel, materiale che un tempo avrebbe fatto la
fortuna di Joe Cocker. Da qui in poi il disco omette forse un po' di eccitazione,
calando una calda coperta folk - la solitaria Sorrow; una sintomatica
The Busker; l'interesante esperimento di The Man Without a Care,
travolgente ballad colorata dalla kora e dalla voce di Boubacar Diébaté;
e ancora le dolcissime Honey of the Vine e Everybody Throws
You Away Louise, quest'ultima comprensiva di un avvolgente quartetto
d'archi - seppure non vengano affatto tralasciati i contorni soul della
scrittura di Viesselman, ripresi in maniera quasi plateale nella corale
preghiera di Lonely People. Un canto liberatorio prima di riprendere
tutti la strada di casa accompagnati dal fingerpicking leggero e dalla
dolce nostalgia di Share Croppers. |