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31/07/2006 |
Tom
Petty Le fughe soliste di Tom Petty
sono state rare nella sua carriera più che trentennale e per giunta spesso
segnate da una "ambiguità" di fondo, ovvero sia il fatto di non
essersi mai sostanzialmente distaccate dall'apporto dei fedelissimi Heartbreakers.
Per i precedenti episodi infatti, i fortunati Full Moon Fever e Wildflowers, la
presenza della sua storica band, pur sotto mentite spoglie, aveva contraddistinto
in maniera non indifferente il materiale di sua composizione. La pubblicazione
di Highway Companion interrompe, forse per la prima volta, questa
naturale sequenza, perchè nella spiccata introspezione delle liriche, nella
maturità un po' malinconica che traspare da queste semplici ballate, Petty
non affonda le mani nel rock'n'roll, lo sfiora soltanto, inseguendo atmosfere
e arrangiamenti molto pacati. Anche la presenza del vecchio compare Mike Campbell,
responsabile di alcune parti di chitara solista, è relegata sullo sfondo,
tanto quanto il supporto in sede produttiva di Jeff Lynne (anche titolare
di piano e organo) si presenta meno invadente del previsto. Highway Companion
mantiene così fede allo stesso titolo, ideale compendio di un viaggio on
the road, ma senza l'eccitazione della gioventù. Un Tom petty assai più
riflessivo, il quale anche nelle recenti dichiarazioni sul futuro degli Heartbreakers
in tour, sembra quasi voler staccare la spina e ritirarsi dal luccichio dello
star system, atteggiamento già evidenziato nelle rimostranze di The Last
DJ. Tutto ciò si riflette su una manciata di canzoni poco appariscenti:
il boogie dal piglio southern di Saving Grace, scelto come apertura, inganna
non poco sulle vere intenzioni della raccolta. Nonostante l'esplosione pop del
ritornello e il marchio inconfondibile del rock'n'roll pettyano, si tratta di
un episodio piuttosto isolato nel contesto dei dodici brani. Soltanto la sinuosa
Turn This Car Around fa riprendere quota al rock, mentre quello che resta
ruota soprattutto intorno alle forme rotonde di una ballata elettro-acustica che
svela gli antichi amori di Tom: c'è difatti sentore di Bob Dylan fra le
righe di Down South e Ankle Deep, un ciondolare folk rock molto
basilare; ci sono ovviamente gli amati Byrds nei palesi omaggi al jingle jangle
sound di Flirting with Time; c'è infine quell'inconfondibile retrogusto
sixties nella costruzione armonica di Jack, Night Driver, Damaged
by Love e The Golden Rose. Un Tom Petty familiare insomma, non c'è
da spaventarsi, ma lontano, questo va ribadito, tanto dall'eccitazione pop, a
volte gigionesca, di Full Moon Fever (anche se la filastrocca di Big Weekend
ricorda Yer So Bad), quanto dalla splendida diversificazione di Wildflowers. Highway
Companion risulta infine un disco assai più omogeneo, ma per questo anche
meno fantasioso e persino un poco accartociato su se stesso nella seconda parte.
Qui più che nelle precedenti occasioni Tom Petty ha voluto vestire i panni
del songwriter invece di quelli del rocker: suona un po' contratto forse, eppure
ha prodotto senza dubbio uno dei suoi lavori più personali. |