inserito
13/12/2006
|
The
Drones Sanguinanti ballate elettriche,
imbevute di desolazione blues e di quella lunga tradizione desert rock
che dalla lontana Australia ha messo radici anche nella California della
prima metà anni ottanta. Questi a grandi linee le suggestioni stilistiche
e i tratti distintinvi del nuovo lavoro dei Drones, Gala
Mill, così denominato dal vecchio granaio della Tasmania in cui
il disco è stato registrato. L'ambientazione e l'isolamento hanno prodotto
i loro effetti, stendendo un ombra minacciosa e stentorea su queste canzoni,
al tempo stesso più dirette e "comprensibili" del chilometrico predecessore,
intitolato Wait Long by the River and the Bodies of Your Enemies Will
Float By e comunque altrettanto lancinanti. Si ridesta la tradizione di
quel cosiddetto Aussie rock che ha saputo scrivere pagine indelebili
di certo undeground degli scorsi decenni: impossibile ad esempio non scorgere
la mano del primo catartico Nick Cave sugli stridori blues dell'iniziale
Jezebel. Ci mettono del loro le chitarre e la voce di Gareth
Liddiard, spalleggiata dal membro fondatore Rui Luis Pereira,
coppia affiatata e unita da un obiettivo comune. Il corpo centrale di
Gala Mill vive difatti sulle battaglie ingaggiate dai due, dai silenzi
e dagli improvvisi scrosci di elettricità, da una lunga serie di polverose
ballad, a metà strada fra il lisergico country rock di Neil Young in Zuma
(i quasi otto minuti I'm Here Now) e i conterranei e mai troppo
onorati Scientists e Beasts of Bourbon, testimoni di un rock'n'roll scuro
come la notte. Straziante ed epica la slide in Dog Eared, una salita
al patibolo la lenta marcia di Words from the Executioner to Alexander
Pearce, brani in cui si palesa anche la comunità di intenti fra la
parte testuale e l'accompagnamento musicale. Un solo sfogo debordante
in I Don't Ever Want to Change, punk rock d'assalto fuori sincrono
rispetto al contesto generale; un unico momento di defaiance in
Work For me quando interviene la flebile voce della bassista Fiona
Kitschin; poi Gala Mill ricade nella spettrale cadenza di I Looked
Down the Line and I Wondered, nello strepitoso, sbilenco country rock
Are You Leaving for the Country (il riferimento al famoso brano
di Young sarà casuale?), per approdare alla lunga misteriosa preghiera
di Sixteen Straws, fosca ballata acustica degna di una murder ballad
della più cupa tradizione americana. Disco crudo, impetuoso, che
concede poco o niente alla leggerezza, gareggiando per asprezza, in questo
2006 agli sgoccioli, con il debutto dei Two
Gallants. |