I
Wallflowers hanno dato il loro meglio coi primi due dischi, l'omonimo
del 1992 e Bringing Down The Horse del 1996, capolavoro assoluto. Difficilmente
potranno ripetersi. Volendo stilare un ideale grafico qualitativo dei
loro tredici anni di carriera, il punto più basso è stato toccato con
Red Letter Days, disco che si apriva paradossalmente con il brano When
You're On Top. Red Letter Days, pubblicato nel 2002, fu anche il primo
album dopo la dipartita di Michael Ward, chitarrista dal suono pulito,
standard, senza fronzoli ma efficace, che posso considerare, a posteriori,
fondamentale per la band. Grazie al nuovo Rebel, Sweetheart,
che già dal titolo sembra riprendere le tematiche a loro abituali, i Wallflowers
si risollevano: non sfiorano minimamente i punti raggiunti con Bringing
Down The Horse, ma garantiscono almeno al nuovo prodotto il medesimo livello
qualitativo di Breach. Jackob Dylan e soci ne avevano bisogno quanto
di una di boccata d'ossigeno: molto è dovuto ora alla nuova produzione,
affidata al bravo Brendan O'Brien, che molti associano a Springsteen
ma che, in passato, produsse una serie innumerevole di dischi di Americana
e roots rock, piccole gemme per stelle di passaggio come Dan Baird e Pete
Droge. La cura di O'Brien è sostanzialmente la stessa di T-Bone Burnett:
i suoni sono semplici, chitarristici, alcuni urbani, solari altri. In
definitiva, la band si tuffa nuovamente nelle sonorità del mainstream
americano, attingendo da Tom Petty, dal Jackson Browne di Late For The
Sky, dal rock'n'roll chitarristico e cantautorale di fine anni Settanta.
Rebel, Sweetheart trova nel rock'n'roll puro e leggero di Days Of Wonder,
Nearly Beloved, The Passenger, Here He Comes e The
Beautiful Side Of Somewhere soluzioni chitarristiche, corali e d'insieme
tutto sommato soddisfacenti. Questi brani non lasceranno lo stesso segno
indelebile di One Headlight o Sugarfoot e Ashes To Ashes ma, ripensando
alle campionature che hanno rovinato Red Letter Days, posso sentirli almeno
più vicini alle mie corde, a ciò che vorrei che fosse la musica. La line-up
è cambiata ancora: i Wallflowers hanno perso per strada anche Mario Calire,
bravo batterista di origini nostrane; a Jackob Dylan toccano tutte
le chitarre (si fa assistere in parte da Brendan O'Brien); Rami Jaffee,
secondo ed unico altro elemento storico del gruppo, dimostra di avere
tutte le carte in regola per essere un tastierista capace, un camaleonte
pronto a spaziare dal pop al rock (quello energico e corale di Back
To California) ai suoni di confine (God Says Nothing Back).
Il suo ruolo in We're Already There è eccellente. Insomma, nulla
di nuovo sul fronte Wallflowers: Rebel, Sweetheart segna se non altro
la volontà e il tentativo apprezzabile di tornare alle origini
(Carlo Lancini)
www.wallflowers.com
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