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inserito
il 04/04/2005
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Ci sono autori, suoni, canzoni che piace ritrovare sempre uguali a se
stessi, come dei vecchi amici di cui ci si può fidare. Greg
Trooper appartiene di diritto a questa piccola cerchia di generosi
storyteller, voci che costruiscono i propri dischi intorno ad un concetto
semplice di songwriting, guardando ad una formula ben precisa. Per questo
ragazzo un po' cresciuto del New Jersey ha sempre contato l'anima, il
soul che dentro la brillantezza della sua voce si univa alla tradizione
bianca, ai modi spicci del folk e a quelli rurali del country. Make
It Through This World porta semplicemente in superficie un carattere
che già in passato affiorava dalle sue registrazioni, compiendo
un'elegante commistione di sonorità sudiste e ballate elettro-acustiche,
incoraggiato dalla supervisione di Dan Penn, un nume tutelare quando
si tratta di percorrere la strada del country soul verso Memphis. Sotto
la sua regia la musica di Greg Trooper ha smussato ancora di più
gli angoli, portando a compimento quella maturità che era esplosa
nel passaggio alla Sugar Hill con il precedente Floating.
Make It Through This World è dunque un punto d'arrivo, un colpo
da maestro della canzone d'autore senza sbavature, che ha forse il solo
difetto di apprire a tratti fin troppo perfetto (e forse la conclusiva
ballata bluesy Lonesome For You Know apparirà un po' autoreferenziale).
Non c'è in realtà un passo falso, a cominciare dalla svolazzante
Dream Away the Blues, dove la slide di Bill Kirtchen, ma
soprattutto gli organi hammond e farfisa e il piano elettrico di Kevin
McKendree dettano la legge southern che dominerà l'intero lavoro.
Suoni avvolgenti come una soffice coperta sui quali le piccole storie
d'amore e struggimento di Trooper, i suoi testi da scuola d'autore si
esaltano nel calore soulful di This I'd Do, deliziosa, in una complementare
Lonely pair, nel country blues sopraffino di Green Eyed Girl
e Don't Let It Go To Waste, il tutto confezionato con una semplicità
d'intenti che non è mancanza di ispirazione, semmai l'arte di sorprendere
con i dettagli delle radici (la spiccia country song I Love it When
She Shines, con il dobro di Steve Fishell, una similare Sad
Sad Girl). Il folk rock che sospingeva il nostro nelle sue passate
fatiche è questa volta messo un po' in disparte, senza tuttavia
privarsene del tutto, magari provando a contaminarlo dalla nuova vena
soul: da qui la stessa title track ed una classicissima No Higher Ground.
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