Da
quando ho il piacere e l'onore di scrivere su questo sito, cioè all'incirca
da due anni, è la terza volta che mi trovo a parlare degli Over The
Rhine di Karen Bergquist e Linford Detweiler, e anche
in questa occasione non posso che abbondare nei superlativi. Questo, a
scanso di equivoci, non a causa di simpatie preconcette, idolatria priva
di obiettività o criminose connivenze; lodare gli Over The Rhine, considerata
la loro prolificità, la loro esorbitante media qualitativa e l'assoluta
trasparenza intellettuale con cui sanno porgersi all'ascoltatore, è a
conti fatti una gradevolissima incombenza per chiunque segua con trepidazione
l'evolversi della musica americana nella sua declinazione più vicina al
cuore vivo del grande songwriting. A sentire la coppia di sposi che, in
sostanza, è la vera testa pensante dell'intero progetto, Drunkard's
Prayer è nato allo scopo di tradurre in musica un momento di crisi
vissuto dal loro rapporto di coppia. Ma a giudicare dai risultati bisognerà
dire che su queste undici canzoni aria di crisi, tremendamente equilibrate
e suggestive come sono, non ne spira affatto. Anzi, a partire dall'incantevole
gioco tra corde acustiche e pianoforte dell'iniziale I Want You To
Be My Love fino ad arrivare alla spettacolare cover di My Funny
Valentine che chiude l'album è tutto un susseguirsi di meraviglie
contrassegnate sì dal consueto mood malinconico e introspettivo, eppure
inevitabilmente vivide, palpitanti, colme di forza immaginifica e melodie
indimenticabili. Diciamo che in questo caso l'impatto del lavoro è nel
complesso meno roots del solito, dacché il centro nevralgico del disco,
pur non volendo mancare di rispetto e devozione alla filastrocca country
di Bluer, alla serena riflessione folkie di Who Will Guard The
Door o all'incalzante rock'n'folk di Lookin' Forward, va rintracciato
in quelle spettrali ed evocative ballate dove alla voce sublime della
Bergquist e ai rintocchi delle tastiere di Detweiler si aggiungono magari
le pelli sornione di Devon Ashley, il contrabbasso di Byron
House e lo splendido violino di David Henry. Mi riferisco soprattutto
alla cupa Spark, con i suoi accenti marcatamente wave, e alla straordinaria
Firefly, vero e proprio centerpiece dell'opera nonché tour de force
impressionante sotto il profilo dell'estensione vocale di Karen Bergquist
e dell'abilità strumentale di Linford Detweiler. Bisognerebbe citare anche
le scintille elettriche di Born, oppure il sassofono umido di Brent
Gallaher che impreziosisce ulteriormente i pregiati tessuti jazzy
di Little Did I Know e della title-track, ma lo spazio è tiranno
e in questa sede posso solo sottolineare che Drunkard's Prayer, oltre
a essere l'ennesimo centro pieno, rappresenta per gli Over The Rhine il
dodicesimo lavoro di studio in appena 14 anni di carriera. Il migliore?
Certamente. Almeno fino al prossimo.
(Gianfranco Callieri)
www.overtherhine.com
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