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inserito
31/08/2005
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Difficile
trovare ancora chi, al giorno d'oggi, si senta di negare a Willie Nelson
lo status di piccola leggenda vivente. In nome di una carriera che leggendaria
lo è stata per davvero, soprattutto in considerazione dei tanti dischi
indispensabili sinora realizzati, devo dire che negli ultimi tempi a Willie
ho perdonato un po' di tutto, compresa una lunga teoria di dischi dal
vivo - i micidiali capitoli della saga "Willie Nelson & friends"
- destinati a lasciare ben poche tracce nella memoria non dico dell'ascoltatore
occasionale ma pure dell'incallito fanatico. Questo per dire che l'annuncio
ufficiale dell'uscita del fantomatico "progetto reggae" sul quale il nostro
sembrava stesse lavorando da anni (c'è chi parla addirittura di un'intera
decade) l'ho accolta con un po' di sufficienza, preparandomi all'ascolto
di prammatica, magari persino distratto, di un colossale obbrobrio. Ma
siccome la classe non è acqua e il buon gusto, la versatilità e la freschezza
d'approccio coltivate con così grande tenacia negli anni passati non sono
evidentemente evaporate dal giorno alla notte, vi dirò che sono più che
lieto di (auto)smentire le mie stupide e fosche previsioni allo scopo
di celebrare un disco in tutto e per tutto delizioso, perfetto e perfettamente
calibrato dalla prima all'ultima nota. Countryman è un
disco reggae, naturalmente, che del reggae conserva le ritmiche ciondolanti
e ipnotiche, i riff chitarristici spezzettati e il drumming metronomico,
ibridandoli però con una strumentazione di chiara matrice country: il
risultato è vivace e rigoroso, frizzante e classico al tempo stesso. Tra
i dodici brani in cartellone, prodotti con sorprendente senso della misura
da un Don Was sobrio come non mai, troviamo diverse cover, qualche
pezzo nuovo e persino le riletture di alcune tra le pagine più note nel
repertorio dell'ultrasettantenne artista texano. Di cose belle ed efficaci,
per quanto mi riguarda, abbonda ognuna delle categorie, ma è impossibile
non restare di stucco di fronte a una struggentissima e semiacustica The
Harder They Come (Jimmy Cliff) che rasenta il capolavoro ed è senza
dubbio il momento più riuscito dell'intero lavoro. Sia detto senza ovviamente
voler arrecare torto alle sublimi tinte rockabilly di una I'm A Worried
Man (Johnny Cash), alla caraibica dolcezza di Sitting In Limbo
(ancora Jimmy Cliff) o all'autografa Darkness On The Face Of The Earth
trasfigurata in malinconica filastrocca. Tanta acqua, tanti anni e tantissime
mode sono passate sotto i ponti, eppure Willie Nelson è sempre qui, a
regalarci grandi album: che il Texas, dio, la marijuana (le cui foglie
campeggiano sulla copertina di Countryman, fin troppo scontata causa di
controversie oltreoceano) o chi per loro ce lo conservino ancora a lungo.
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