Marah - If You Didn't Laugh You'd Cry PHidelity/ Yep Roc 2005
inserito il 02/11/2005

Premessa: questa non è una recensione o una palestra critica priva d'attrezzature, ma un atto d'amore, fiducia e devozione. E' la diretta conseguenza di un'infatuazione avvampata ormai cinque anni fa, allorché i fratelli Serge e Dave Bielanko, in arte Marah da Philadelphia, con l'uscita del capolavoro Kids In Philly scombussolarono una scena - quella del rock'n'roll di estrazione classica - da troppo tempo assopita in un riposo apparentemente interminabile. Non chiedete dunque al sottoscritto o alla redazione di RootsHighway di essere obiettivi nei confronti dei Marah, poiché non ne saremmo capaci: loro sono la band su cui io e molti altri abbiamo scommesso per tenere accesa la fiammella del r'n'r, quelli che col tempo e un pizzico di pazienza e disciplina potrebbero prendere in mano il testimone di Bruce Springsteen, Bob Dylan, Paul Westerberg e Ramones per traghettarlo lungo il corso degli anni a venire mantenendone intatte crudezza, autenticità, impatto viscerale, emotività trascinante", anche quando, come nel caso di questo nuovo If You Didn't Laugh, You'd Cry, i loro prodotti discografici sembrano mostrare il fianco a qualche appunto recriminatorio. Eppure non c'è niente da fare, i Marah rimangono, ora come ora, la quintessenza di un certo modo d'intendere il rock'n'roll, una faccenda di attitudine e suoni, escandescenze stradaiole e romanticismo da subway, spirito punk e radici folk. Almeno tre episodi del nuovo album farebbero la loro sfavillante figura in un eventuale "best of" del gruppo, che ora, oltre ai leaders Bielanko Bros., si completa con Kirk "The Barber" Peters (basso e tastiere), Dave "Fire&Ice" Peterson (tamburi), Adam Garbinski (chitarra) e con la presenza del fidato Mike "Slo-Mo" Brenner (steel e dobro). Mi riferisco a The Hustle, The Demon Of White Sadness e Walt Whitman Bridge: la prima è un devastante omaggio a Pogues e Springsteen che si conclude con una serie di assoli incrociati talmente stupidi, grassi ed eccitanti da far impallidire i Kiss, e si fa amare proprio per questa impareggiabile sfrontatezza; la seconda costituisce un esempio perfetto di quel che significhi prendere in mano il modello della rock-ballad elettrica e incalzante, qui sublimato in un finale ad alto voltaggio, per regalargli nuova freschezza; sugli struggimenti semiacustici della terza soffia un'armonica dylanian/springsteeniana (ancora) che scalda il cuore e rischiara il crepuscolo invernale tratteggiato con vivido senso del dettaglio nelle liriche. Il resto non viaggia purtroppo ai medesimi livelli, ma ciò non vuol dire che sia più difficile prenderlo in simpatia oppure, occasionalmente, adorarlo, tanto più che alle scudisciate da bar-room band di The Closer, al country-rock sbilenco di The Dishwasher's Dream e The Apartment, alla fucilata punk-blues di Fatboy o alla malinconia folkie di So What If We're Outta Tune (W/ The Rest Of The World) basta il primo ascolto per entrare in circolo e non uscirne più. Stupenda, poi, è la ghost-track, una reprise di Sooner Or Later (traccia numero 5, omaggio ancor più ebbro al Dylan di Rainy Day Woman #12 & 35) come avrebbero potuto architettarla i Teenage Fanclub. Insomma, c'è poco da fare, qualcuno potrà trovarli non al massimo della forma, qualcun altro (c'è da scommetterci) continuerà ad accusarli di essere nulla più che dei continuatori, ma per quanto mi riguarda un nuovo album dei Marah è sempre quanto di più consigliabile a tutti i rain dogs del rock'n'roll che ancora sognano la propria Wendy e la magia di una notte in città per vivere come pazzi e poeti allo sbando.
(Gianfranco Callieri)

www.marah-usa.com
www.yeproc.com