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inserito
il 04/07/2005
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Il disco di una vita, gli amici di sempre: Johnny Hickman non è
certamente un nome che potrà destare grandi attenzioni, eppure è stato
ed è tuttora l'anima tradizionale e un po' defilata dei Cracker,
in coppia con David Lowery, protagonista di una delle rock'n'roll band
più intelligenti e sottovalutate degli ultimi vent'anni. Non bastasse
questa carta d'identità musicale, Hickman resta comunque un signor chitarrista,
uno dei pochi in grado di cambiare l'armonia di una canzone con la sua
Gibson, ed un autore mai troppo sfruttato. Dentro i Cracker si affacciava
di rado in veste solista, anche se quei momenti erano tutt'altro che secondari.
Oggi Palmhenge è il miglior biglietto da visita che potesse
offrire, per presentare le sue mature capacità di songwriting. C'è esperienza,
profondità, coinvolgimento in questo lavoro, preparato con dovizia di
mezzi, energie colte da ogni musicista conosciuto per strada: ci sono
gli ex compagni d'avventura David Immergluck (pedal steel, chitarre)
e Davey Faragher (cori), ed una bella serie di partner alla sei
corde tra cui Bo Ramsey e Teddy Morgan, e poi ancora Joey
Burns dei Calexico al basso, Ken Coomer (ex Wilco) alle percussioni
e Chris Carmicael al violino. Nessuno toglie spazio alla personalità
di Hickman, che spadroneggia senza strafare con la solista e costruisce
piuttosto ballate rotonde, canzoni adulte ed un sobbalzare dolce tra country,
rock di frontiera e sfuriate elettriche (una Harvest Queen da stordimento,
che sembra uscire dal songbook dei Pearl Jam). Costruito intorno ai propri
ricordi, alla terra della California, ai cambiamenti repentini di quest'ultima
- fin nei suoi simboli più evidenti, le palme, un "momunento" che con
la fantasia si trasforma da Stonehenge in, appunto, Palmhenge - il disco
è un atto d'amore per quel rock mainstream dal profumo di radici che in
pochi oggi sanno ancora rendere così arioso e melodico. Per questo ci
sono Tom Petty e John Mellencamp a fare da musa: bastano le chitarre assassine
del singolo The Great Decline e di Hacker Boy, oppure il
pop rock senza sbavature di Lucky e Little Queen Bee. Meno
eccentrico dei Cracker, il rock'n'roll di Johnny Hickman ritrova la via
della tradizione, peraltro mai smarrita, prendendo a prestito le migliori
conquiste fatte in dischi come Kerosene Hat o Gentlemen Blues: il delizioso
roots rock di Southern Cal, con armonica e banjo, la tensione acustica
dell'affascinante Little Tom, bilanciata dalle più classiche San
Bernardino Boy, rustico country che ben si accoppia con Friends,
roba da Johnny Cash, fino alla chiusura corale della dolciastra Beauregarde's
Retreat, ballata gioiosa che trasporta l'ascoltatore sulle colline
della California. Anche se la perfezione viene toccata con mano nel country
virato al southern-soul di Father Winter. Piccolo grande disco
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