John
Hiatt è un grande scrittore di canzoni. Ma quando a ciò che è del
suo si aggiunge lo zampino di un vate della produzione cantautorale americana
come Jim Dickinson, il magnetismo sprigionato da collaborazioni
di tal fatta non può che far drizzare a Sud l'ago della nostra bussola
musicale. Uomini che hanno il dono di essere genitori dei North Mississippi
All Star oltre che "padri" di un certo tipo di rock in generale, e
individui dall'arte non comune come il John in questione, avrebbero dovuto
incontrarsi già da un pezzo in questo senso, quand'anche conoscevano da
tempo l'uno l'abilità dell'altro. Il sodalizio artistico si rivela invece
piuttosto con questo Master Of Disaster, il ventunesimo
album per l'artista, da molto esperto a confezionare canzoni e dirigere
orchestre con componenti del calibro di Ry Cooder o Sonny Landreth, insieme
al deus ex - machina dietro a lavori degli Stones o Aretha Franklin, per
citarne alcuni. Master Of Disaster si rivela un disco in cui è molto forte
l'influenza di certe sonorità folk e blues, in una fusione elettro-acustica
dai toni effettivamente più roots di quanto si possa più spesso immaginare
negli umori sudisti di un certo tipo di rock. Del resto poi il tocco si
sente, nelle ballate velate di elettricità leggermente sopra le guide,
magistralmente condotte alla chitarra elettrica da Luther Dickinson
e dal titolare all'acustica a far da contrappunto, con la sua voce dosata
nelle asprezze di un'ugola decisamente rock. E la title-track scorre come
il nastro d'asfalto di un road-movie, la batteria dell'altro fratello
Dickinson Cody a tingere ritmicamente pulita la rock-ballad d'apertura.
Gli altri episodi simili di Master si alternano a ombreggiature dixie
in limpide melodie country, come Howlin'Down The Cumberland sullo
stile della colonna sonora suonata dall'amico Ry Cooder per I Cavalieri
Dalle Lunghe Ombre di Walter Hill, o la delicata Old School in
chiusura. Thunderbird è una commistione delle sonorità citate coi
toni on the border a mo' di Joe Ely, prima che la metà del disco spinga
su accenni decisamente più stradaioli, con l'armonica dylaniana di When
My Love Crosses Over in chiave alternative-country decisamente più
soft - altre sensazioni inframmezzate dall'intimistica Cold River
- o più duri e cupi con Love's Not Where We Thought We Left It
o Find You At Last. Uno spazio a parte merita l'influsso ragtime
per Wintertime Blues e Back On The Corner, o la forte coloritura
soul di Ain't Never Goin'Back. L'intervento di musicisti effettivamente
capaci rende espressivamente quello che dal punto di vista artistico potrebbe
esser frutto di più mani, ma l'inconfondibile songwriting di John Hiatt
illumina di nuovo un altro disco che, non certo ai livelli di Bring The
Family, è comunque tra le migliori uscite della stagione
(Matteo Fratti)
www.johnhiatt.com
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