Un'esplosione di colori e toni fiabeschi, una cavalcata epica
e a tratti anche un poco enfatica che ribadisce il ruolo unico ricoperto dai Decemberists.
Le ballate di Colin Meloy, voce principale di questo progetto e autore
quanto mai surreale e pieno di sè, attraversano un confine labile fra tradizione
folk, pop, cabaret e soffici melodie british che fanno sembrare la sua band una
trasposizione nella provincia americana degli Smiths o se volete una versione
più ruspante di Belle & Sebastian. Picaresque prosegue
ed anzi amplifica con la produzione di Chris Walla (Death Cab for Cutie), quella
ricerca avviata con i precedenti due lavori, in particolar modo in Her
Majesty, un viaggio nell'assurdo e nell'immaginifico, dove realtà
e fantasia si incrociano attraverso storie strampalate, epopee da marinai, romanzo
picaresco, da cui il titolo "donchisciottesco", e sconfitte quotidiane
più vicine alla nostra esperienza (il pop guitto di The Sporting Life).
D'altronde un disco che si apre con l'impetuosa The Infanta, un autentico
wall of sound tra folk rock e passionalità lirica (con finale affidato
ad un acuto del tenore Eric Stern), che narra la storia della regina bambina di
Spagna, può solo confermare queste sensazioni, amplificate dalla tessitura
musicale dell'intero Picaresque. Anche nella voce, morbida e sovente sdolcinata,
Meloy non fa nulla per nasciondere i "difetti" del suo songwriting:
la strumentazione abbondante, i fiati, gli archi (tra cui il violino di Petra
Haden), il pianoforte assicurano toni sfavillanti ad una serie di ballate
spesso commoventi, ma sempre a rischio di tediare l'ascoltatore per la loro estenuante
lunghezza, che più volte supera i sei-sette minuti di lunghezza. Esempi
di questa logorroica, prolissa scrittura sono The Bagman's Gambit, un asciutto
brano folk che si apre ad un tuonante finale, On The Bus Mall, pop vellutato
e uggioso, tra i brani più british della raccolta, ma sopra di tutte la
marcetta mittleuropea, alla maniera di Kurt Weil, di The Mariner's Revenge
Song, tra fisarmoniche e strumenti acustici immersi in un ambiente da bettola
di porto. La provocazione geniale e un po' vanitosa di Meloy prevede anche queste
sorprese, salvo ricordare le sue capacità di folksinger nelle più
contenute Eli, The Barrowboy, From My Own True Love e Of Angels
and Angles, trovando un mirabile equilibrio fra le sue disprate influenze
nel romanticismo di We Both Go Down Together, che ricorda qualcosa dei
REM più immalinconiti, e nella solarità pop di 16 Military Wives,
sospinta a vele spiegate da una grandiosa sezione fiati. Straripanti, esagerati,
persino un po' kitch, i Decemberists lasciano scorrere la fantasia e alternano
grandi canzoni a puri divertimenti (Fabio Cerbone)
www.decemberists.com
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