Sarah Borges - Silver City Blue Corn 2005 1/2
inserito il 03/08/2005

Accidenti alla stampa americana, spesso così facilona da abbandonarsi a paragoni ingombranti e menzogneri. C'è una nuova cantautrice in città, si chiama Sarah Borges e dice di amare tanto Hank Williams e Merle Haggard quanto il punk rock. Ha una voce tuonante e molto soul, un buon bagaglio di radici e come se non bastasse il suo esordio, Silver City, è infarcito di pedal steel e mandolini. L'equazione è presto fatta: una nuova Lucinda Williams, un'altra creatura dell'universo Americana e via di questo passo. Ci eravamo cascati anche noi, poi ascolti le prime note di All this Weight e ti accorgi che Sarah Borges meriterebbe qualche attenzione in più e meno superficialità. Possibile che ogni voce femmnile all'orizzonte della scena roots indipendente debba diventare stretta parente della Williams? Passiamo oltre, perchè Silver City è un debutto che cammina con le sue gambe e soprattutto mostra una chanteuse elettrica e passionale, tutt'altro che impegnata a fare dello spiccio country rock. L'anima della Borges batte per il rock'n'roll della strada e solo in un secondo momento lo profuma di radici, moderatamente. L'avevamo intravista in azione lo scorso anno, al fianco del compagno e anch'egli musicista Jake Brennan (qui ospite alla chitarra acustica in Melloew Doubt, cover dei Teenage Fanclub). Assemblato un piccolo combo - il misterioso Binky al basso e Rob Dulaney alla batteria - si è infilata in studio con un carico di buone intenzioni e solide ballate. Le presenze invadenti della pedal steel (Mike Castellana e Steve Malone) quanto del mandolino (Jimmy Ryan) non ingannino, visto che l'anima di Silver City pulsa per un roots rock arrembante, che sembra stazionare a metà strada fra la tradizione elettrica cittadina (siamo a Boston e dintorni) e la campagna dell'alternative country (gli svelti bozzetti bluegrass-rock di Miss Mary e Streetwise Man). Faccia d'angelo, voce soulful e potente, Sarah Borges mette in chiaro la faccenda a cominciare dalla rutilante Daniel Steel, sbattendo in faccia un sound corrosivo, che mostra il risvolto più rude nella scalpitante Same Old 45, nella bluesy On the Corner, con la slide di Ian Kennedy, così come nel già citato timbro country punk di Miss Mary e Streetwise Man. Scendendo a patti con i paragoni, gli unici punti di contatto con le tonalità southern della Williams si hanno in Six feet Deep (Russell Chudnofsky alla solista), perchè anche nel formato ballata la Borges sembra possedere un carattere tutto suo: dalla romantica Ring in the Shape of a Heart al country soul di Think of What You've Done, fino all'affascinante riproposizione di I'm going to Live The LIfe I Sing About in My Song (successo per Mahalia Jackson scritto da Tom Dorsey) Sarah Borges, complice la produzione poco edulcorata dell'esperto Paul Q. Kolderie (Uncle Tupelo, Buffalo Tom, Pixies) non si dimentica mai di alzare il tiro delle chitarre e di puntare tutto sull'interpretazione. Una pasionaria del roots rock di cui sentiremo ancora parlare
(Fabio Cerbone)

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