Willie Nelson - It Always Will Be Lost Highway 2004 1/2
 

Cominciavo a preoccuparmi. Perchè sì, non che nel frattempo ne avesse licenziati di particolarmente brutti (questo, ormai, non credo possa accadere), ma era comunque da quattro anni, cioè dal superbo Milk Cow Blues, che Willie Nelson non realizzava un album pienamente convincente. Che stranezza: nonostante quanto appena asserito, mi rendo conto di aver comunque comprato, in un semplice quadriennio, almeno 8 (!) nuovi dischi a suo nome. Potenza del personaggio. Mi sarei incazzato con chiunque altro, mentre con Willie non è possibile, non riesco ad accusarlo di niente. Sarà quel volto scolpito da monte Rushmore? Non sarà piuttosto la considerazione, possibile solo a chi non ha scoperto la country music negli ultimi 5 minuti, magari sull'onda delle ecumeniche gratificazioni critiche riservate al povero Johnny Cash, che quest'uomo, nel corso di una carriera contrassegnata da oltre 200 titoli, ha affrontato più o meno ogni svolta artistica, con immancabile e testardo anticipo sui tempi? Non è riuscito a impedirsi numerosi scivoloni, certo, alcuni dei quali veramente clamorosi, ma si è inventato il genere americana quando l'alt.country ancora non esisteva, ha inaugurato il vezzo dei concept-albums, ha reinterpretato gli standards quando ancora Rod Stewart languiva sotto il tavolino di un pub e ha trafficato senza effettuare distinzioni di sorta con reggae, blues e rock'n'roll. It Always Will Be non è perfetto come lo avrei voluto, non è insomma ai livelli di un Teatro (1998) o di uno Spirit ('96), eppure conserva diverse parentesi di eccezionale spessore, raggiungendo in almeno tre frangenti l'ineguagliabile magia delle cose migliori del vecchio fuorilegge. Mi riferisco alla Be That As It May in duetto con la figlia Paula (che del brano è pure l'autrice), superbo country-pop di frontiera provvisto di una linea melodica irresistibile e sostenuto inoltre dal drumming spettacolare di Eddie Bayers, al talkin' sabbioso e folkie adottato da Willie per rileggere con calma olimpica la Picture In A Frame di Tom Waits, alla struggente Overtime prestata e accompagnata da Lucinda Williams. Non è tutto, ovviamente, perché la presenza di Norah Jones in Dreams Come True, il country-folk di Texas e dell'ottima title-track e le screpolature bluesy di una Tired co-firmata da Toby Keith fanno passare in secondo piano le cadute di tono, piuttosto vistose nell'inutile Big Booty come nella rutilante cover di Midnight Rider (Allman Bros.) che chiude la parata, robetta piuttosto kitsch e sciocchina. Ma questo è Willie, prendere o lasciare. Optate per la prima.
(Gianfranco Callieri)

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