Cominciavo
a preoccuparmi. Perchè sì, non che nel frattempo ne avesse licenziati
di particolarmente brutti (questo, ormai, non credo possa accadere), ma
era comunque da quattro anni, cioè dal superbo Milk Cow Blues, che Willie
Nelson non realizzava un album pienamente convincente. Che stranezza:
nonostante quanto appena asserito, mi rendo conto di aver comunque comprato,
in un semplice quadriennio, almeno 8 (!) nuovi dischi a suo nome. Potenza
del personaggio. Mi sarei incazzato con chiunque altro, mentre con Willie
non è possibile, non riesco ad accusarlo di niente. Sarà quel volto scolpito
da monte Rushmore? Non sarà piuttosto la considerazione, possibile solo
a chi non ha scoperto la country music negli ultimi 5 minuti, magari sull'onda
delle ecumeniche gratificazioni critiche riservate al povero Johnny Cash,
che quest'uomo, nel corso di una carriera contrassegnata da oltre 200
titoli, ha affrontato più o meno ogni svolta artistica, con immancabile
e testardo anticipo sui tempi? Non è riuscito a impedirsi numerosi scivoloni,
certo, alcuni dei quali veramente clamorosi, ma si è inventato il genere
americana quando l'alt.country ancora non esisteva, ha inaugurato il vezzo
dei concept-albums, ha reinterpretato gli standards quando ancora Rod
Stewart languiva sotto il tavolino di un pub e ha trafficato senza effettuare
distinzioni di sorta con reggae, blues e rock'n'roll. It Always
Will Be non è perfetto come lo avrei voluto, non è insomma ai
livelli di un Teatro (1998) o di uno Spirit ('96), eppure conserva diverse
parentesi di eccezionale spessore, raggiungendo in almeno tre frangenti
l'ineguagliabile magia delle cose migliori del vecchio fuorilegge. Mi
riferisco alla Be That As It May in duetto con la figlia Paula
(che del brano è pure l'autrice), superbo country-pop di frontiera provvisto
di una linea melodica irresistibile e sostenuto inoltre dal drumming spettacolare
di Eddie Bayers, al talkin' sabbioso e folkie adottato da Willie
per rileggere con calma olimpica la Picture In A Frame di Tom Waits,
alla struggente Overtime prestata e accompagnata da Lucinda
Williams. Non è tutto, ovviamente, perché la presenza di Norah
Jones in Dreams Come True, il country-folk di Texas
e dell'ottima title-track e le screpolature bluesy di una Tired
co-firmata da Toby Keith fanno passare in secondo piano le cadute di tono,
piuttosto vistose nell'inutile Big Booty come nella rutilante cover
di Midnight Rider (Allman Bros.) che chiude la parata, robetta
piuttosto kitsch e sciocchina. Ma questo è Willie, prendere o lasciare.
Optate per la prima.
(Gianfranco Callieri)
www.willienelson.com
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