Lee Fardon- Compassion Sunray Music 2004
 

Per chi è cresciuto in certi anni, per chi ha ricevuto la propria educazione sentimentale alla musica attraverso certi modelli, per chi ha letto religiosamente gli articoli di certe riviste, quello di Lee Fardon non è davvero un nome qualsiasi. Londinese devoto al culto del rock americano, all'inizio degli anni '80 Lee ha frequentato spesso e volentieri i giradischi degli appassionati di rock'n'roll con diversi dischi - l'esordio Stories Of Adventure dell'81 e il successivo The God Given Right ('82) i più eclatanti - dove la poetica urbana di Bruce Springsteen si sposava felicemente con una certa oscurità velvettiana e qualche spruzzo di new-wave. Oggi, dopo aver riposto la bottiglia, dopo troppi dischi abortiti, dopo qualche lavoro zoppicante, dopo innumerevoli traversie umane, Lee ha fondato una piccola casa discografica ed è tornato a regalarci nuovi albums. Prima i pregevoli inediti di Lost & Found ('03) e ora questo Compassion, che segna al tempo stesso un punto d'approdo e una nuova svolta: approdo perché sintomo di ritrovata serenità e rinnovata fiducia nelle proprie capacità; svolta poiché rivelatore di nuove fonti d'ispirazione, stavolta chiaramente ravvisabili nel Van Morrison dei mid-seventies. Fatico, tuttavia, a ratificare un giudizio più generoso delle tre stelle riguardo al disco. Potrebbero essere cinque, sull'onda dell'emozione personale, ma il senso critico impone di evidenziare un che di eccessivamente dimesso, qualche segnale di stanchezza in termini di songwriting, una sensazione di generale appiattimento. Non mancano - ovvio - i brani decisamente riusciti, tra i quali la magnifica rock-ballad urbana Sons Of Plunder, una The Sheriff Song resa morbida e seducente dall'Hammond di Steve Smith, il balletto tra la Telecaster e la Stratocaster di Tony Wilson in una Landed With di stampo blue-collar o l'impasto di rock e folk nella tirata Protest Song. Sembra però che il resto del disco viva di grandi dettagli, di grandi intuizioni che non sanno dare corpo a canzoni altrettanto riuscite. Il pianoforte di Over Her Head, per esempio, screziato dai pigri e inutili ricami chitarristici alla Eric Clapton di Steve Dow, oppure i notturni crescendo della title-track, sulla quale viene scarabocchiato un coro femminile a dir poco insulso, oppure ancora il bel ritornello di The Jesus Song, vanificato da un prologo e da uno svolgimento che puzzano di autocitazione lontano un miglio. Chi qualifica Compassion come il miglior disco di Lee dai tempi di The God Given Right forse non rammenta quale altissima qualità di scrittura fosse racchiusa, al di là dei discutibili arrangiamenti, nel sottovalutato The Savage Art Of Love ('84), ma non è questo il problema. Compassion, prima di colpire al cuore, richiede all'ascoltatore molta pazienza: non sono sicuro, anche se dio solo sa quanto lo vorrei, che poi contraccambi nei modi dovuti.
(Gianfranco Callieri)

www.leefardon.com