Per chi è cresciuto in certi anni, per chi ha ricevuto la propria educazione
sentimentale alla musica attraverso certi modelli, per chi ha letto religiosamente
gli articoli di certe riviste, quello di Lee Fardon non è davvero
un nome qualsiasi. Londinese devoto al culto del rock americano, all'inizio
degli anni '80 Lee ha frequentato spesso e volentieri i giradischi degli
appassionati di rock'n'roll con diversi dischi - l'esordio Stories Of
Adventure dell'81 e il successivo The God Given Right ('82) i più eclatanti
- dove la poetica urbana di Bruce Springsteen si sposava felicemente con
una certa oscurità velvettiana e qualche spruzzo di new-wave. Oggi, dopo
aver riposto la bottiglia, dopo troppi dischi abortiti, dopo qualche lavoro
zoppicante, dopo innumerevoli traversie umane, Lee ha fondato una piccola
casa discografica ed è tornato a regalarci nuovi albums. Prima i pregevoli
inediti di Lost & Found ('03) e ora questo Compassion, che
segna al tempo stesso un punto d'approdo e una nuova svolta: approdo perché
sintomo di ritrovata serenità e rinnovata fiducia nelle proprie capacità;
svolta poiché rivelatore di nuove fonti d'ispirazione, stavolta chiaramente
ravvisabili nel Van Morrison dei mid-seventies. Fatico, tuttavia, a ratificare
un giudizio più generoso delle tre stelle riguardo al disco. Potrebbero
essere cinque, sull'onda dell'emozione personale, ma il senso critico
impone di evidenziare un che di eccessivamente dimesso, qualche segnale
di stanchezza in termini di songwriting, una sensazione di generale appiattimento.
Non mancano - ovvio - i brani decisamente riusciti, tra i quali la magnifica
rock-ballad urbana Sons Of Plunder, una The Sheriff Song
resa morbida e seducente dall'Hammond di Steve Smith, il balletto
tra la Telecaster e la Stratocaster di Tony Wilson in una Landed
With di stampo blue-collar o l'impasto di rock e folk nella tirata
Protest Song. Sembra però che il resto del disco viva di grandi
dettagli, di grandi intuizioni che non sanno dare corpo a canzoni altrettanto
riuscite. Il pianoforte di Over Her Head, per esempio, screziato
dai pigri e inutili ricami chitarristici alla Eric Clapton di Steve
Dow, oppure i notturni crescendo della title-track, sulla quale viene
scarabocchiato un coro femminile a dir poco insulso, oppure ancora il
bel ritornello di The Jesus Song, vanificato da un prologo e da
uno svolgimento che puzzano di autocitazione lontano un miglio. Chi qualifica
Compassion come il miglior disco di Lee dai tempi di The God Given Right
forse non rammenta quale altissima qualità di scrittura fosse racchiusa,
al di là dei discutibili arrangiamenti, nel sottovalutato The Savage Art
Of Love ('84), ma non è questo il problema. Compassion, prima di colpire
al cuore, richiede all'ascoltatore molta pazienza: non sono sicuro, anche
se dio solo sa quanto lo vorrei, che poi contraccambi nei modi dovuti.
(Gianfranco Callieri)
www.leefardon.com
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