Normalmente
avremmo collocato una proposta come Love Songs for Patriots
in altri spazi del sito (Outtakes), ma qualche attenzione speciale andava
riservata ad un ritorno talmente inatteso quanto miracoloso, soprattutto
a giudicare dal risultato finale. Sulla ricomparsa degli American Music
Club si sono già spese molte parole e generalmente tutte unanimi
nel sottolinearne solidità e bellezza. A dieci anni dallo scioglimento
doloroso (era il 1994 e San Francisco chiudeva il sipario con poco
onore), Mark Eitzel e compagni hanno deciso di riprovarci una volta
ancora. Ferite in apparenza insanabili si sono ricucite tra quest'ultimo,
Dan Pearson (basso), Tim Mooney (batteria) e Vudi
(chitarre). Il nome della band può veleggiare come ai tempi di
Everclear e Mercury, capolavori passati in sordina e poi
rivelatisi terreno fertile per il nuovo folk-rock della baia di Frisco.
Chi si riempirebbe oggi la bocca con definizioni come "sadcore"
senza gli struggimenti di Mark Eitzel, un maestro della malinconia e dello
spleen esistenziale? Oggi che sono considerati, sempre con il senno di
poi, un tassello insostituibile dell'indie-rock americano degli ultimi
vent'anni, possono anche permettersi il lusso di un disco tortuoso (ma
facili non lo sono mai stati), lungo e sfaccettato come questo Love Songs
for Patriots, caratteristiche che costituiscono al tempo stesso pregi
e difetti nella resa finale. In ogni caso un "comeback" in grande
stile, che nel solo trittico iniziale riserva perle preziose, nuovamente
ispirate, guarda caso, dall'America di Bush. La "chiamata alle armi"
di Eitzel è ovviamente metaforica e polemica: Ladies and Gentlemen
è una spettrale ballata condotta dai contrappunti del piano
del nuovo arrivato Jason Borger e dagli stridori chitarristici
di Vudi (all'anagrafe Mark Pankler). Another Morning placa gli
animi con una soffice spinta pop, aprendo il terreno alla strepitosa Patriot's
Heart, una rock ballad di una bellezza inquietante. Non bastano certo
questi primi dodici minuti a sancire un giudizio certo, anche perchè
la stessa tensione emotiva tornerà a risplendere solo nel finale,
con il country-rock giogione di Your Horseshoe Wreath Will Bloom
e gli stranianti contorni folk di Song of the Rats Leaving The Sinking
Ship (titolo curioso come molte volte capita al buon Eitzel) e The
Devil Needs You. Nel mezzo del percorso qualche appannamento interrotto
da lampi improvvisi (Only Love can Set You Free, Home),
segnale comunque di una reunion per nulla campata in aria, ma fondata
sulla sostanza din un songwriting che ha ancora molte cose da dire
(Fabio Cerbone)
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