M Ward - Transfiguration of Vincent Matador 2003

Nelle scarne note all'interno del cd è racchiuso tutto l'universo musicale un po' stralunato di Matt Ward, che va al risparmio anche nello scegliersi il nome, accorciandolo in un più enigmatico M Ward. Trasnfiguration of Vincent è il segnale di una sbocciatura definitiva, qualcosa che girava nell'aria e ci aveva lasciato incuriositi già con il precedente End of Amnesia. Nella girandola di etichette che si sono fatte irretire dal suo songwriting "sbilenco" e inquieto sono cadute prima la Glitterhouse, poi la Merge ed infine la prestigiosa Matador, che in tema di talenti non è seconda a nessuno. Non occorreva tuttavia grande fiuto per accorgersi di un autore fuori dagli schemi, che dalla tradizione prende in prestito la scarna struttura folk e l'essenzialità delle canzoni, trasformandole però in qualcosa di assolutamente attuale, deviato e personale. Inserirlo nel grande mare del moderno low-fi è quanto meno riduttivo: facili i raffronti con Smog, Sparklehorse e Giant Sand, visto anche il debutto sotto l'egida di Howe Gelb e Jack Lytle dei Grandaddy; più complicato continuare a sostenere questi paragoni quando si ha a che fare con brani quali Vincent O'Brien, irruenza punk innestata su una melodia dolcissima, una chitarra solista che si divide tra dissonanze e limpidi fraseggi ed un piano honky-tonk a martellare sullo sfondo. E' solo la prima di una lunga serie di sorprese, costruite ad arte con l'apporto degli Old Joe Clarks, che accompagnano con mano felice la malinconica voce di Matt: Sad Sad Song ed Helicopter sono spigolosi incubi folk-rock dal grande fascino, in contrasto evidente con la deliziose oasi acustiche di Undertaker e Dead Man. Chitarrista dagli spiccati accenti rootsy, M Ward prega il suo padre spirituale John Fahey e in qualche modo lo omaggia negli strumentali Transfiguration #1 e Duets for Guitars #3, prima di ritornare alla sua anima da autentico "troubadour" in Involuntary e Poor Boy, Minor Key, quest'ultimo un blues sensuale e notturno alla Tom Waits. La sorpresa, come insegnano i suoi maestri, la riserva per il finale: di Let's Dance (proprio quella di David Bowie) rimane solo lo scheletro di una ballata spettrale e ammaliante, chitarra, voce ed armonica. Splendida
(Fabio Cerbone)

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