Inutile nasconderlo, fa un certo effetto sentire Jason Molina e la sua creatura Songs:Ohia nelle nuove sembianze elettriche assunte in quest'ultimo, splendido The Magnolia Electric Co. Un effetto positivo ovviamente, perchè si tratta di uno dei più brillanti omaggi che si potessero architettare alla tradizione del country-rock, al suono oscuro dei Crazy Horse, alle loro chitarre scorticate (la tensione di John Henry Split My Heart e Almost Was Good Enough) con una voce spezzata che tanto deve al buon vecchio Neil Young. Melodie dolcissime (I've Been Riding With The Ghost, Just Be Simple con la lap steel di Mike Brenner), immerse nella California degli anni settanta (il finale struggente di Hold On Magnolia), che risulteranno spiazzanti soprattutto per chi lo aveva catalogato tra i paladini della malinconica depressione folk che anima da tempo il rock americano (vedi i vari Will Oldham, Damien Jurado e Smog). Scordatevi dischi come Didn't It Rain o Ghost Tropic, perchè questa volta Molina ha tirato fuori gli amplificatori e guarda caso è riuscito ad incidere il suo disco più convincente, primo episodio, almeno così si favoleggia, di un progetto più ampio che dovrebbe prevedere una seconda puntata acustica. Nel frattempo The Magnolia Electric Co. non elimina assolutamente i tratti essenziali della sua scrittura, ma la rende certamente meno ermetica, più accessibile a tutti. Il merito va condiviso con la produzione del mitico "guru" dell'indie-rock Steve Albini e in particolar modo con la band, che partecipa attivamente alla stesura finale delle canzoni. Tutto suona infatti come il frutto di un forte lavoro di squadra: Molina lascia fluire le emozioni dando spazio a tutti i musicisti, facendo anche cantare in due brani Lawrence Peters (l'ottima ballata dai sapori roots di The Old Black Hen) e Scout Niblett (voce femminile alla lunga un po' irritante in Peoria Lunch Box Blues). Un disco assolutamente "out of time", di una bellezza disarmante, classico fin dalle prime note.
(Tommaso Piccoli)

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