Bob
Schneider Lonelyland
Universal 2001 1/2
Realizzato a livello indipendente lo scorso anno, Lonelyland è stato
un vero e proprio best seller del circuito indipendente texano ed ora riceve le
giuste ed inevitabili attenzioni di una major. Ad aggiungere interesse intorno
alla figura di questo atipico songwriter ci pensa poi l'incetta di premi raccolti
recentemente all'Austin Music Awards, appendice prestigiosa del famoso SXSW edizione
2000, la rassegna musicale per eccellenza della capitale del Texas, che trasforma
la città in un concerto unico. Qui il buon Scneider si è imposto come musicista,
voce, artista maschile e songwriter dell'anno...proprio niente male. Arriva poi
il momento di fare i veri e propri conti con la sotanza di questo Lonelyland e
le carte sul tavolo girano diversamente. Idee e talento non mancano di certo al
ragazzo (bisogna ricordare la sua lunga militanza come vocalist degli Ugly
Americans, jam-rock band del circuito Horde verso la metà dei novanta), ma
il guaio resta che di intuizioni ne sono uscite fin troppe ed il disco soffre
di una certa disomogeneità, oltre a peccare ripetutamente in una produzione eccessivamente
patinata, dove ritmiche funk, arrangiamenti lucidati e modernismi vari finiscono
per soffocare la vera natura di molte sue canzoni. I momenti più stimolanti restano
alcune soffici ballate a metà strada tra leggerezza pop, tradizione e profumi
di border, dove la voce di Schneider acquista tutto il suo valore e l'intera canzone
viaggia sulle coordinate di un folk rock moderno, ma non troppo ruffiano. Fanno
parte della categoria Metal and steel, con un piglio da singolo; la soffusa
e jazzy Madeline; il passo sbarazzino di Round and round, che nell'incedere
ricorda vagamente alcune melodie di Dave Matthews; il finale in salita con l'accoppiata
2002 e Oklahoma. Tutti episodi per cui non credo si possa gridare
al miracolo e nemmeno spendere e spandere premi e riconoscimenti per ogni dove:
resta l'impressione di un buon artigiano della canzone pop, con gusti variegati
e non molto inquadrati nella routine, per il quale la vera carta vincente resta
senza ombra di dubbio una voce versatile. Per il resto c'è molta confusione che
aleggia in Lonelyland: canzoni francamente insipide quali Big Blue Sea e
Jingy, scivolate funky (Bullets), strambe trovate come i ritmi caraibici
di Moon song e scopiazzature, nemmeno tanto riuscite, di Tom Waits (Blue
skies for everyone) che potevano tranquillamente essere evitate. Forse un
pizzico soppravvalutato.
www.bobschneidermusic.com
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