Whiskeytown
Pneumonia
Lost Highway 2001 1/2
Una toccante raccolta di grandi ballate, come pochi oggi sarebbero in grado
di presentare: questo il primo vero riscontro suscitato da un lungo, meditato
ascolto di Pneumonia, agognato disco di addio di una delle formazioni chiave
del rock americano di questi anni. Si è detto molto e si è costruito troppo intorno
al mito infinito di queste registrazioni, risalenti al ’98 e rimaste nel
cassetto per un periodo infinitamente lungo, causa lo sfaldamento della band e
i risaputi intralci di carattere discografico (la scomparsa della loro vecchi
etichetta Outpost). Grazie alla neonata ed attivissima Lost Highway (pubblica
anche il nuovo lavoro di Lucinda Williams), sussidiaria del colosso Universal,
torniamo in possesso dei fantomatici nastri perduti, quasi ci trovassimo di fronte
ad una sorta di Basement’s Tapes della nuova generazione roots. Piaccia
o meno, Pneumonia è un lavoro di rottura, che svela tutte le successive mire solistiche
di Ryan Adams, tanto da poter essere considerato un primo vero tentativo
di proseguire in solitudine, facendo carta straccia di gran parte delle certezze
del passato: della vecchia line-up infatti, resta solo Caitlin Cary ed
il suo violino, affiancata da Mike Daly alle chitarre e da numerosi amici,
tra cui Ethan Johns alla batteria (ed anche alla produzione), Tommy
Stinson dei Replacements e James Iha, ex Smashing Pumpkins. Non si
rilevano la cruda e furiosa rabbia country-punk di Faithless Street, ne
tanto meno gli orizzonti desertici e le perfette alchimie roots di Stranger’s
Almanac: si mettano l'animo in pace gli irriducibili sostenitori del sound
"no depression" ad oltranza, perché gli Whiskeytown fanno le stesse coraggiose
(ed intelligenti aggiungo io) scelte degli Wilco. Le radici country non sono rinnegate,
ma tutti i fuoriclasse del settore scelgono irrimediabilmente di diventare adulti
e siccome Ryan Adams è un autore superbo, infarcisce Pneumonia di vibranti canzoni
con la c maiuscola, in cui la tradizione della ballata country è disciolta in
copiosi bagni di pop beatlesiano (Mirror Mirror, quasi imbarazzante, The
ballad of Carol Lynn, Don’t be sad) ed in una leggiadra eleganza,
che rimanda a maestri quali Randy Newman. Don’t wanna know why, la
stellare Sit down & listen to the rain e le classiche cadenze western
puntellate dalla pedal steel in My hometown e Jacksonville skyline
sono un passaggio aperto con il passato. E se Paper moon è l'unico indigeribile
pasticcio infilato su 14 brani, con quel suo spocchioso intreccio di violini e
mandolini in salsa messicaneggiante, poco importa, perché il finale è tutto rimesso
nel cuore di un grandissimo autore, che ci riversa addosso la malinconica poesia
di Easy hearts per chiudere poi con l’andamento scoppiettante di
Bar lights, con il violino della Cary a colorare di passione un disco bello,
importante e necessario www.losthighwayrecords.com
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