Larry
Mitchell The
Bridge
TexPatriate 2001
Un artista non più giovanissimo ed innegabilmente sconosciuto, tanto
quanto la stessa TexPatriate records, ad ulteriore dimostrazione della
possibilità di scoprire in continuazione talenti nascosti della canzone
d'autore americana. Larry Mitchell non è dunque un novellino, anzi,
la sua storia (che parte da Selma, Alabama) è assai lunga e si forma musicalmente
abbracciando il rivoluzionario "country cosmico" di Gram Parsons, anche
se professionalmente riuscirà a farsi strada solo verso la metà
degli anni novanta al seguito dei Dallas County Line, formazione dalla breve vita,
che ebbe anche l'onore di pubblicare per la prestigiosa Curb records di Nashville.
Il presente è però l'unica certezza di Mitchell, rappresentato da
un elegante e passionale disco solista, The Bridge, che da subito
si svela come un tributo alle sue disparate radici musicali. Abbracciando musica
d'autore, ballate vecchio stampo, country-rock e momenti più intimisti,
il disco acquista una sua dignità precisa, forse lontana dagli stessi gusti
del pubblico alternative-country di questi anni, eppure perfettamente in linea
con ciò che dovrebbe essere il concetto di "Americana": un caleidoscopio
di radici musicali nel solco della tradizione. Eclettico è l'aggetivo migliore
per descrivere The Bridge, che, va detto, è prodotto in maniera molto professionale
(David Raines) e suonato altrettanto. Si respira un innegabile sapore seventies
in tutti e dodici gli episodi ed inevitabilmente ritornano alla mente alcuni grandi
e misconusciuti autori del periodo: la pacatezza di certe ballate (Thin Line
e l'ottima Long Road Home) lo fa accostare, per esempio, al grande James
Talley, mentre il tiro più ruspante di Here in the neon e On
hollister street (applausi alla chitarra di Harold Lee Kennedy)
richiama un altro desaparecidos degli anni '70 quale Steve Young. Per completare
il gioco dei ricordi ed inquadrare ulteriormente il personaggio, aggiungente pure
un leggero profumo di border nel segno di Tom Russell (Nowhere). I paragoni
tuttavia vanno sempre presi con le pinze e giudicare il lavoro di Larry Mitchell
sulla base di questi mostri sacri rischia di farlo apparire come un semplice imitatore.
C'è invece molta personalità ed esperienza nella sua musica (per
esempio l'autobiobrafica Selma o la stessa title track), che non merita
di essere sminuita. Nonostante qualche perdonabile caduta di tono (troppo zucchero
in certe ballate), un disco che potrebbe colpire nel segno dei più nostalgici
sostenitori dell'arte del songwrting di classe.
www.texpatriate.com
|