Honeydogs
Here's
Luck
Palm 2001
A Minneapolis sono un piccolo culto e c'è da crederci, visto che il
loro pop rock chitarristico e frizzante è davvero una piccola enciclopedia
ambulante dei suoni che hanno reso celebre il rock'n'roll di quella città.
Non sono degli sprovveduti i ragazzi (guidati, ancora una volta, da una coppia
di fratelli, Adam e Noah Levy): dietro di sè hanno già
diversi dischi all'attivo, di cui l'ultimo, Seen A Ghost, uscito per la
major Poliygram nel '97 e che inevitabilmente ha ricreato la stessa insopportabile
situazione di mille altre rock band. Rimasti appiedati e senza contratto, gli
Honeydogs hanno dovuto attendere pazientemente quattro lunghi anni prima
di riaffaciarsi sul mercato grazie ad una indipendente di lusso. Here's Luck
è indubbiamente il loro disco più ambizioso, studiato lungamente,
che li separa, almeno in parte, dalle sonorità in stile prevalentemente
roots-rock e maistream-rock del passato. Affiora con prepotenza la loro attitudine
pop, che in precedenza era limitata ad alcuni episodi, sottolineata dagli stessi
arrangiamenti: protagonisti imprescindibili del disco sono infatti piano, tastiere
ed archi, sui quali si innestano, badate bene, una bella schiera di chitarre elettriche
ed acustiche (Brian Halverson). Il gioco dei rimandi può essere
fin troppo scontato: ritroverete agganci nemmeno troppo celati con alcuni concittadini
illustri, diciamo i Soul Asylum e i Jayhawks più melodici,
ma anche evidentemente i padri putativi, ovvero i Replacements di Paul
Westerberg, specie quelli più moderati di All Shook Down. Ciò
che in realtà scaturisce dalle eleganti trame pop di alcune ballate quali
Stonewall o la bellissima Wilson boulevard è una rivelatrice
parentela con l'esperienza degli ultimi Wilco, quelli della svolta sperimentale
e melodica di Summerteeth. Da altre parti si respira una leggera brezza
radiofonica, tanto è vero che in un'altro mondo Sour grapes e Losing
transmission sarebbero due singoli di tutto rispetto, adatti soprattutto per
i circuiti delle college-radio americane, grazie al tiro pop-rock d'assalto. For
the tears e Freakshow vanno a ripescare melodie di fine sixties, nel
culto di Brian Wilson, Pins and dolls ruba qualche nota a John Lennon,
mentre Red dye #40 sperimenta e non convince del tutto, sembrando più
uno scherzo. Il finale è rimesso nelle mani di una ghost-track dal sound
etereo e sperimentale, che ribadisce tutta la bontà degli Honeydogs quali
esperti artigiani della canzone pop.
www.honeydogs.com
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