Big
In Iowa Green
Pop
Blue Rose 2001
Questo quartetto dell’Ohio (a dispetto del nome) resta una delle proposte
di punta della Blue Rose, forse per via della loro attitudine strettamente
rock’n’roll da tipica bar-room band, esempio lungimirante della nuova generazione
Americana. Il precedente Bangin’ n’ Knockin’ li aveva rivelati come una
genuina combriccola di counrtry-rockers, devoti alla santificazione di Neil Young
(c’era anche una cover della sfruttata Cinnamon girl): buone canzoni tra rock
stradaiolo e suggestioni western, ma nulla che potesse inserirli nella serie A
del settore. Onesti mestieranti insomma, che avevano forse bisogno di una brusca
sterzata per attirare l’attenzione, quella sterzata che sembrano avere ricevuto
almeno in parte, sotto la guida del principe dei baccanali roots, Eric Roscoe
Ambel. La sua mano sulla produzione di Green Pop si sente forte e chiara,
il gruppo suona più convincente, unito e le canzoni acquistano in personalità,
nonostante non si possa dire esistano brani epocali, che li faranno ricordare
tra le tappe più significative del roots rock di questi anni. Bob Burns
(voce solista ed autore principale della band) e compagnia (nota di merito alla
chitarra solista di Rick House) stazionano stabilmente nei bassifondi del
più tipico rock’n’roll di serie b, accodandosi in questo al gesto di altre
produzioni d.o.c. di Ambel quali Bottlerockets e Go To Blazes. Dalla loro hanno
però la caratteristica peculiare di mischiare le loro radici tutte americane
con un gusto pop mutuato dall’era beat della prima metà dei sixties, qualcosa
che deriva dall’ascolto di Animals, Yardbirds ecc. Nel caso ascoltatevi la partenza
tutta energia di She’s so happy ed il suo giocare tra il fragore delle
chitarre e la spensieratezza della melodia, o le armonizzazioni vocali di Natasha.
Per non parlare poi di Little bit of soul, che costituisce una vera e propria
concessione al revival dell’epoca beat. Green thoughts vira verso il Keith
Richards pensiero, con un finale pirotecnico tra assoli di chitarra e persino
un tappeto di fiati. Della stessa famiglia Stupid lies, Gettin’ gone
e Can you hear me: american rock’n’roll portato alle stelle in questi
anni dai Bottlerockets e qui ripreso con la stessa "sensibilità"
per la materia. Da altre parti si respira aria di abusato approccio alternative-country
(Move along, Joe Baldwin’s head), ma nel complesso Green
Pop è un sostanzioso e solido disco, degna testimonianza di quel rock
fieramente si seconda serie, la cui filosofia non vorremmo morisse mai
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