Jay Farrar
Sebastopol
Artemis
2001

1/2


Dunque anche il buon Jay Farrar, piccolo grande ambasciatore del mondo alternative-country, ha gettato la maschera: messi in soffitta i suoi Son Volt, assurti, volenti o nolenti, a band simbolo del movimento, dopo la dolorosa dipartita degli Uncle Tupelo
, Jay si separa significativamente e credo volontariamente dalle strette sacche di una scena che forse non sentiva pienamente di rappresentare. Personaggio così schivo ed enigmatico, sembrava destinato a recitare l'anima depressa, fieramente provinciale, in opposizione al talento istrionico del vecchio compagno Jeff Tweedy (Wilco). Le avvisaglie di un cambiamento in atto si potevano già intuire nell'ultimo capitolo a firma Son Volt, nell'elettricità a tratti prorompente di Wide Swing Tremolo, ma Sebastopol va oltre e si presenta come uno spiazzante esordio solista in stile roots-pop psichedelico, prodotto dal grande John Agnello. La definizione non è forse delle più felici, ma rende bene l'idea di fondo di questo coraggioso salto nel buio compiuto da Farrar. Le radici ci sono ancora tutte, così come la voce pigra e desolata, cambiano però gli arrangiamenti ed il contorno, giocando con tastiere e ritmiche meno prevedibili. Per nulla scontati e di facile assimilazione, questi brani sono probabilmente i migliori frutti dai tempi di Trace, il debutto del 95 con i Son Volt. Liriche come sempre contorte e quasi nonsense su un tappeto antico e moderno al tempo stesso: si accentuano le tonalità pop della sua musica (vedi il singolo Voodoo Candle), riaffiorano i fantasmi del passato roots in Barstow (duetto con Gillian Welch) e nella splendida Outside the door (alla slide Kelly Joe Phelps), ma il piatto forte ed indigesto per i vecchi fans saranno le spirali quasi psichedeliche di Feel Free, il maestoso muro di suono in Clear day thunder e Vitamins, la sconvolgimento delle sue certezze in Feed Kill Chain e Directions. Complimenti Jay!

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