Ryan
Adams Heartbreaker
Bloodshot
2000
Ebbene si, pare proprio che sulla splendida avventura degli Whiskeytown
sia calata la definitiva parola fine, lasciando orfani tutti coloro che avevano
intravisto nel loro crudo country rock provinciale, una delle espressioni più
schiette, trascinanti e geniali dell’ultima generazione americana. Il burrascoso
talento di Ryan Adams, aggiunto alla politica suicida delle majors, ha
soffocato l’ultima uscita del gruppo, prevista proprio quest’anno (e forse pubblicata
postuma nel 2001…), spargendo un alone di pessimismo intorno al futuro del migliore
american rock’n’roll di questi anni. Se è vero che il famigerato movimento
alternative-country (se mai ne sia esistito uno…) ha forse esaurito il suo ciclo
vitale, e la morte degli Whiskeytown sembra esserne una simbolica testimonianza,
non macano certo solitarie impennate d’ispirazione, dischi insomma ancora in grado
di farti sobbalzare per intensità e passione. Il buon Ryan Adams
da un saggio di tutto ciò nel suo strepitoso debutto solista, prodotto
con parsimonia dall’amico Ethan Johns. Opera tutt’altro che sfuocata o
di passaggio, ma un ulteriore tassello che va a consacrare una delle figure più
geniali e spiritate del rock americano di questi tempi, Heartbreaker stacca
coraggiosamente la spina dal grezzo roots rock del passato e mostra inaspettatamente
il lato più introverso, tipicamente solitario ed acustico del nostro eroe,
attraverso ballate che sono una pesante ipoteca sul suo futuro da songwriter maledetto.
Folk rock di marca dylaniana, sventagliate di armonica younghiane e soffici ballate
country parsoniane danno le coordinate di questo nuovo entusiasmante capitolo
del talentuoso Adams, che si lascia trascinare in fremiti elettrici solo nella
vibrante introduzione rock blues (e qui l’ombra di Dylan si fa minacciosa) di
To be young e nel corrosivo rockabilly punk di Shakedown on 9th
street. Il resto è pura poesia folk, talmente fragile ed appassionata
che è facile sentirsi vicini al cuore stesso dell’artista: basta lasciarsi
trascinare nelle dense atmosfere di Oh my sweet Carolina (praticamente
un capolavoro), impreziosita dal duetto con Emmylou Harris, e Come pick
me up o dai sapori aspri ed agresti di Bartering lines (questa volta
al canto accompagna la brava Gilliam Welch), incapaci nel non farsi coinvolgere
e travolgere da un intero carico di solitarie fughe acustiche, tra cui si possono
citare, per pura scelta personale, My winding wheel, Call me on your
way back home, Why do they leave? e In my time of need.
Uno degli "imperdibili" dell'anno!
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