Sarah Pierce
Birdman
Little Bear
2000

1/2
 

Il nome di questa giovane cantautrice di Austin, in realtà nativa dell'Illinois, non dovrebbe essere del tutto sconosciuto ai più attenti cultori della musica indipendente americana: all'indomani delle buone impressioni suscitate dal suo secondo lavoro (No place like home), Sarah ha infatti intrapreso una breve tournè anche sui palchi italiani, rivelando immediatamente una maggiore grinta rispetto alle sue prove di studio. Ancora una volta affiancata nella produzione dall'esperto marito Merel Bregante (un musicista culto nel circuito country-rock texano), ci riprova con questo terzo sforzo solistico, dopo essersi guadagnata sulla strada, macinando chilometri di attività dal vivo, la giusta reputazione. Ciò che principalmente colpisce nella sua musica sono la personalità ed il suono, molto distanti dagli accenti roots della scena di Austin, rivestendo le sue radici folk e country con un gusto spiccato per arrangiamenti pop raffinati e a volte un tantino stucchevoli, dove il piano e le chitarre acustiche svolgono un ruolo fondamentale. La stessa avvolgente e dolce vocalità di Sarah, accompagnata da una produzione molto calibrata, contribuisce a richiamare senza mezzi termini i profumi della California anni '70, avendo come modelli principali Emmylou Harris, Linda Ronstandt e Joni Mitchell. I risultati migliori affiorano soprattutto nella prima parte, con le delicate melodie di My street e Marjorie (ottimo il ricamo della chitarra elettrica), con i colori della west-coast in Wind e l'accattivante lavoro del piano in Birdman. Anything goes ritorna sui passi californiani, arricchendosi di una slide, Coffee shop è un intermezzo di boogie-rock non molto originale e con le chitarre troppo sacrificate sulllo sfondo, mentre le vivaci Talkin' with you e High holy day svelano gli influssi country della protagonista. In altri frangenti il disco soffre di un sound eccessivamente patinato, una sorta di folk-pop, sempre di buona fattura, ma un po' ridondante (Angel, Ordinary day e Turn around), che trova il suo apice nella personale rilettura (voce e piano) di un ultra-classico quale What a wonderful world, a dire il vero poco utile all'economia generale del disco.