Chris
Mills Kiss
It Goodbye
Sugar Free/Loose 2000 1/2
Chris Mills è uno di quei cantautori
per cui non è difficile scomodare l'espressione "da tenere d'occhio",
forse un po abusata, ma sempre utile nel mettere in luce un talento naturale.
Dopo le attenzioni createsi intorno al personaggio grazie al precedente Every
night fight for your life, Kiss it goodbye è il suo primo lavoro
ad essere pubblicato anche in Europa (dall'etichetta inglese Loose) e vale la
pena scomodarsi nella sua ricerca se quello che andate cercando non è il
solito cantastorie a metà strada tra i fantasmi di Dylan e la nuova via
al roots-rock tracciata da Steve Earle. Il songwriting dall'aria depressa e maledetta
(lui dice di avere ascoltato molto Transformer di Lou Reed prima di incidere il
disco), le sue storie marginali ed il suo spirito irriverente, che prende tanto
dal country provinciale (proviene dall'Illinois) quanto dal punk ascoltato in
gioventù, lo pongono sullo stesso piano di personaggi ormai fondamentali
dell'ultima generazione del rock americano. Si potrebbero scomodare l'inquietudine
di Ryan Adams dei Whiskeytown, il gusto melodico di Jeff Tweedy
dei Wilco e naturalmente il padre ispiratore di questi ultimi, Paul Westerberg
e i suoi Replacements. Le chitarre rumorose dell'iniziale Brand new day
restano la prova inconfutabile di tutto ciò: in partenza sembra di essere
capitati in un brano dei Buffalo Tom, ma nel ritornello le chitarre acustiche
parlano il linguaggio dell'alternative-country. Watch chain e Crooked
vein stazionano sulle onde degli ultimi, seminali Whiskeytown, mentre
All you ever do mostra l'originalità del personaggio, sfoderando
un corposo pop-rock d'altri tempi. Napkin in a wine glass è un country-rock
crudo dalle tinte fosche, con un testo tra i migliori della raccolta, mentre Fall
ha tutto l'aspetto di una classica rock song stradaiola, già sentita ma
tutto sommato piacevole. Chiusura affidata a due ottime ballate dagli accenti
roots e dai ritmi pigri (Borderline e Lips are like poison), con
una decisa impennata di genio nel finale di Signal/Noise, splendida e malinconica
ballata che si giostra tra sensibilità da folksinger, depressione country
e pop dalle inflessioni sixties, con un finale ispirato al "Wall of Sound"
di Phil Spector. Un'altra bella sorpresa dalla sperduta provincia americana. Come
vi dicevo: da tenere d'occhio... |