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John
Hiatt Crossing Muddy Waters Sanctuary 2000 John Hiatt ritrova le sue radici sudiste, questa è la prima bellissima impressione che ci regala Crossing Muddy Waters: con un titolo così capite bene come non ci si discosti dalla materia di cui erano fatti anche Slow Turning e Stolen Moments. Questa volta però si tratta di un disco sostanzialmente acustico, dall'anima folk e country blues, immediatamente riconoscibile come il più ispirato della recente stagione discografica di Hiatt. Non che i suoi anni Novanta siano stati un "dormire sugli allori": il coraggio non gli è certo mancato, basterebbe pensare a Perfectly Good Guitar e al suono grungy e sporco di quel periodo 8infatti in America non è piaciuto, forse è sembrato troppo alla moda), ma è certo che uscite quali Walk On e Little Head vivevano un po' di rendita, con qualche segno di stanchezza diacimolo pure. Crossing Muddy Waters recupera la voce più nera di Hiatt, il fango del Mississippi, ballate roots che vivono soltanto del suono delle chitarre e del mandolini, con i collaboratori Davey Faragher e David Immergluck (Cracker e Counting Crows): sono brani che recuperano l'essenza del cantautore così come ci era stata mostrata nei suoi capolavori degli anni '80, ma declinandola con un visione che potremmo definire "unplugged". Sporche e blues Lincoln Town e Lift Up Every Stone (un brano rock in fondo), emozionanti la title track, Take It Down e God's Golden Eyes, con una menzione speciale per la chiusura di Before I Go, una di quelle ballate che portano il marchio dello stile di Hiatt e che immaginiamo possa fare faville anche con un suono full band sul palco. Crossing Muddy Waters è un vero trionfo perchè restituisce lo spirito più crudo e nudo di Hiatt, esalta la sua voce rancorosa e black, odorando di terra, vecchio sud e grande american music. |