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Paolo
Bonfanti On The Outside Club de Musique 2000 1/2 Prima o poi doveva succedere: anni di dura e fedele gavetta alle spalle, chilometri macinati in lungo ed in largo per la penisola a diffondere il verbo di una credibile via italiana al blues (sempre rigorosamente cantato in inglese), una lunga serie di prove solistiche di tutto rispetto ed ora lattesa quadratura del cerchio, con un disco maturo, completo e decisamente superiore alla media di tante produzioni americane. Non fatevi condizionare dai luoghi comuni: gli americani lo sanno suonare alla grande il rocknroll, non cè dubbio, ma qualche stella brilla anche alle nostre latitudini. Paolo Bonfanti sa dosare le sue radici blues e la sua chitarra incendiaria, volgendo lo sguardo verso altri lidi della musica tradizionale americana, non facendo mistero di apprezzare un certo roots-rock di matrice classica, che si nutre direttamente alla fonte di nomi storici quali Los Lobos e Blasters. Del resto basta ascoltare la carica rock'n'roll di Sometimes (cantata in coppia con Jono Manson) per annotare i gusti ruspanti e goderecci del disco. Non scherza nemmeno la title track, rock-blues di quelli tirati al punto giusto, con tanti omaggi all'indimendicato Steve Ray Vaughan, che può fare buona compagnia con il gran gracchiare di Homebreaker blues, tra chitarre che grondano di sudore ed una voce filtrata che fa sempre il suo effetto. Beetween me and you alza la media, perchè viaggia sulle stesse geniali coordinate del progetto Houndog di David Hidalgo, blues a bassa fedeltà, ossessivo ed insinuante da morire. Move slow ci accompagna nelle paludi del Mississippi, tra i ricordi dello swamp-rock alla Creedence, mentre la ripresa hillibilly di Northwestern hopeless blues mostra la faccia bianca del sud, con tanto di mandolino e banjo (Silvio Ferretti dei Red Wine) ed un ritmo che ti prende al primo ascolto. Dimostrazione di versatilità sono inoltre la presenza di una limpida ballata stradaiola (Another song), molto Dave Alvin periodo pre-folk, ed una Times ain't changed at all adagiata sui toni acustici del classico songwriter di provincia. Tutto il resto non è contorno, bensì il solito sostanzioso piatto a base di blues (la già citata Northwestern hopeless blues, Crazier than you e il gran sferragliare di slide nello strumentale Ferrari's walk), che non può lasciarvi ancora indifferenti di fronte a questo paladino italiano della roots music |