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Laura Veirs
Found Light
[Bella Union 2022]

Sulla rete: lauraveirs.com

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di Nicola Gervasini (02/08/2022)

Alla soglia dei cinquant’anni Laura Veirs può ben dirsi una veterana del folk indipendente di questi anni Duemila, anche se, avendo iniziato a suonare professionalmente intorno ai trenta, la sua carriera discografica è solo ventennale, e comunque già piena di titoli che hanno ispirato anche parecchie giovani adepte (Laura Marling è una che sicuramente l’ha seguita con attenzione). Il suo undicesimo album si chiama molto significativamente Found Light, e la luce trovata indica una pace dopo la tempesta sentimentale (con il produttore Tucker Martine) dovuta al fallimento di un matrimonio (ma lei sottolinea che i matrimoni non falliscono, al massimo si evolvono, a volte anche in una salutare rottura), storia che in qualche modo ci aveva già raccontato nei dischi precedenti.

Da un paio d’anni la Veirs ha reagito diventando anche una sorta di personaggio da social che sciorina consigli alle donne sole su come crescere i figli senza un padre e come arredare la casa, non senza mancare mai di gettarsi anche in riflessioni appassionate sulla condizione femminile dei nostri giorni. Per fortune questa "distrazione", che probabilmente l’ha aiutata a rigenerarsi come persona, non ha intaccato la sua arte, anzi, se il precedente My Echo era stato uno sforzo produttivo decisamente imponente per le sue abitudini dedite ad una musica scarna ed essenziale, con un risultato già molto incoraggiante, Found Light sa di punto di arrivo, dove la sua vena da semplice folksinger e la voglia di sperimentare anche un po’ con i suoni moderni, in un puro spirito di autoproduzione come agli esordi, trovano un perfetto equilibrio.

Non è un disco facile, eppure rispetto a My Echo le canzoni si sono fatte meno cervellotiche, più naturali, come se al contrario del precedente, la Veirs abbia semplicemente lasciato correre un flusso di pensieri spesso apparentemente abbozzati (Seaside Haiku) o serenamente leggeri (Ring Song). Le ombre ci sono ancora, e sono poste soprattutto agli estremi del disco, che inizia con una Autumn Song e finisce con una Winter Windows indicando anche un certo percorso stagionale al suo racconto, che certo non ispira leggerezza d’animo. Ma nella semplicità di una vita di casa lontano dai riflettori, la Veirs ha ritrovato la vena della folksinger intimista, con un disco che potrebbe persino appartenere a una Suzanne Vega di altri tempi per quanto riesce a fare in certi casi di tradizione virtù. In ogni caso tra tenui ballate (My Lantern, Can’t Help But Sing), momenti di dream pop (Signal, New Arms), e riusciti esperimenti (le percussioni di Eucaplytus, il duello di violini di Time Will Show You), il disco funziona bene, anche se richiede un silenzio e un'attenzione oggi rari.

Prendetelo come toccasana per una fine giornata particolarmente stressante, Laura Veirs vi parlerà anche dei suoi problemi, ma qui suonano come un caldo abbraccio di solidarietà di cui tutti abbiamo bisogno.


    



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