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John Fullbright
The Liar
[Blue Dirt Records 2022]

Sulla rete: johnfullbrightmusic.com

File Under: songs from Oklahoma


di Fabio Cerbone (25/10/2022)

Segnalato fin dagli esordi come uno dei potenziali talenti della canzone roots americana per gli anni a venire, con una nomination ai Grammy in tasca per l’album indipendente From the Ground Up, John Fullbright aveva improvvisamente interrotto i segnali discografici, lasciando il sospetto che avessimo tutti preso un abbaglio. Sono otto lunghe stagioni, infatti, quelle che separano il secondo disco di studio, l’intimo a cantautorale Songs, dal qui presente The Liar, periodo passato volutamente a sottrarsi dal centro della scena. È lo stesso Fullbright a non spiegarsi bene cosa sia successo, con qualche candida dichiarazione di rito, molto probabile però che sia stata una reazione, più o meno consapevole, alle troppe promesse che qualcuno aveva caricato sulle sue spalle di giovane folksinger dell’Oklahoma.

Ecco allora la soluzione: fare un passo indietro, trasferirsi nella “grande città”, a Tulsa, partecipare a concerti e incisioni da uomo ombra, respirando l’aria buona di una scena Americana locale molto vivace. Ha atteso tempi migliori, ha scelto il momento giusto, si è circondato di amici musicisti conosciuti sul luogo (Jesse Aycock, Aaron Boehler, Paul Wilkes, Stephen Lee e Paddy Ryan tra i tanti) ed è così tornato a fare sul serio. Per fortuna, aggiungiamo noi, visto che The Liar si rivela fin dalla partenza il lavoro più espressivo e completo nel mettere in mostra il campionario del songwriter di Bearden, Oklahoma, comunità rurale di centotrenta anime che sta nei pensieri e nella crescita di Fullbright, figlio legittimo di quella terra di Okies, come li chiamava Woody Guthrie.

The Liar
è il disco che Todd Snider non riesce più a incidere da anni e che Jason Isbell potrebbe tornare a concepire se dedicasse più tempo alle canzoni che non alla perfezione dei suoni. Ma le capacità, chiariamolo, sono tutte e soltanto di John Fullbright, musicista che essendo partito dalla composizione al piano e usandolo spesso nella conduzione delle melodie, ha un approccio meno folkeggiante del previsto, mettendo insieme Bob Dylan e Randy Newman, il Texas di Townes Van Zandt con la Louisiana di Dr. John. Così entriamo mani e piedi nelle sonorità di The Liar, introdotti dal passo epico e dai crescendo di Bearden 1645 (e sì, qui Isbell farebbe davvero carte false per scrivere un pezzo così), da un suono più elettrico e full band (Paranoid Heart, la divertente Social Skills) che mette da parte un eccessivo minimalismo che appesantiva il precedente Songs, scegliendo fra vecchie e nuove composizioni (i languori country d’autore di Unlocked Doors arrivano dal debutto Live at the Blue Door), una schietta incisività che alterna confessioni amorose, chiacchiere con Dio, tratti esistenziali e qualche commento sociale.

Tra classico e moderno, Fullbright strizza l’occhio a vecchi valzer che piacerebbero a Willie Nelson (Where We Belong, Blameless), tirate blues rancorose (la waitsiana Poster Child) e dai forti accenti sudisti (il finale di Gasoline, l’esplosione gospel nel finale di Safe to Say) e qualche struggente ballata pianistica che non manca mai nel suo repertorio (Stars, Lucky), capace peraltro di esaltare fino allo spasmo una voce, quella del protagonista, che è un’altra delle frecce preziose al suo arco, in grado di distinguerlo dal grande guazzabuglio di songwriter in circolazione nell’America profonda. Sempre che abbia voglia di dare più continuità al suo gesto artistico e non “sparisca” di nuovo da sotto i riflettori.


    



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