Condividi
 
 

Bonny Light Horseman
Rolling Golden Holy
[37d03d/ Goodfellas 2022]

Sulla rete: bonnylighthorseman.com

File Under: splendori folk


di Fabio Cerbone (01/10/2022)

Sulla carta poteva restare una (splendida) estemporanea ricerca sulla sempre affascinante materia folk, nata un po’ dal caso e un po’ da amicizie musicali comuni; è invece, con somma gioia, un progetto che prosegue e rilancia il suo percorso dentro la tradizione, questa volta per traghettarla dal passato al presente. Se infatti l’omonimo Bonny Light Horseman, due anni fa, trovava le ragioni della sua esistenza artistica nel reinventare vecchi brani, partendo dall’eredità del folk inglese, così poi come era giunto sulle coste atlantiche del Nuovo Mondo, oggi Rolling Golden Holy propone dieci episodi originali, frutto di una totale immersione e condivisione dei tre animatori del gruppo: Anais Mitchell, Eric D. Johnson, Josh Kaufamn.

Il cristallino incanto della prima lo conosciamo, e soltanto pochi mesi fa la Mitchell è anche tornata a proporsi in veste solista con l’atteso omonimo album; Johnson (ex Fruit Bats e anche lanciato in una sua carriera) resta la spalla ideale, con il timbro quasi femminile della sua voce che armonizza e si alterna da protagonista con la stessa Anais; Kaufman è il mago dei suoni e il cesellatore infaticabile dei dettagli, produttore, musicista e terzo incomodo che dona una volta di più a queste registrazioni quel suono nitido, estatico che avvolge il tutto. Risultato di due sessioni di registrazione, una tenutasi presso il Long Pond studio di Aaron Dessner (The National) e una nella ribattezzata casa del trio, Dreamland, fra i boschi intorno a Woodstock, Rolling Golden Holy dimostra come i Bonny Light Horseman non siano un fuoco di paglia, né tanto meno un passatempo, semmai un piccolo miracolo di sensibilità comuni che unendosi danno vita ad una chimica musicale riconoscibile e preziosa per il folk americano di questi anni.

C’è la sinuosa onda di Exile in apertura a dare il segno distintivo all’intera operazione, che adesso, a detta dello stesso gruppo, volge lo sguardo verso orizzonti californiani (non occorrono spiegazioni per il tenue trasalire acustico di un brano chiamato proprio California), gradazioni più armoniose, ma fondamentalmente conservando la matrice tradizionale di partenza. È soltanto rivista e espansa da un suono più immaginifico e rapito, ricco di elementi naturali e sospiri universali, quelli riversati dalla voci della Mitchell e di Johnson nella dolcissima Comrade Sweetheart, e così il trio al completo (con l’aggiunta della batteria di JT Bates del basso di Mike Lewis) fra il tremolio di Summer Dream e i sussulti di una irresistibile Sweetbread, che intreccia il tono rurale del banjo con un sax (il citato Mike Lewis) che divaga su note jazzy.

Sono ancora una volta il carattere commovente e la grazia dell’esecuzione di queste ballate a renderle sospese, fuori del tempo, che siano il mite fingerpicking delle chitarre in una agrodolce Gone By Fall o l’intimità a cuore aperto che la Mitchell riesce sempre miracolosamente a infondere alle sue interpretazioni, qui sublimate dalla ballad d’amore Fleur de Lis o dal trait d’union con quella tradizione inseguita e rinnovata in Fair Annie, prima che una rara chitarra elettrica, più acidula, accompagni il canto corale di Cold Rain and Snow. Il titolo ricalca un famoso traditional più volte riproposto anche dal mondo rock (per esempio dai Grateful Dead): i Bonny Light Horseman scrivono una loro canzone originale, ma non apparre affatto casuale l’omonimia, a sancire un collegamento profondo e un disco altrettanto denso di significati.


    



<Credits>